Emigrazione italiana in Brasile a inizio Novecento

Benvenuto e Lucia Ronchi, cartolina (foto concessa dal Centro Altreitalie sulle migrazioni italiane)

Benvenuto e Lucia Ronchi, cartolina (foto concessa dal Centro Altreitalie sulle migrazioni italiane)

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In Brasile gli italiani approdarono [Approdarono: arrivarono (via mare)] in massa dopo l’abolizione della schiavitù (1888)[ Nel 1871 la Legge del Ventre Libero stabilì che da allora i figli di donne schiave sarebbero stati liberi. Nel 1888 la schiavitù fu abolita del tutto] e si diressero prevalentemente in due aree, quella degli attuali stati di Săo Paulo e di Santa Catarina e Rio Grande do Sul nell’area più meridionale del Paese. Nell’area paulista gli italiani furono impiegati prevalentemente nelle piantagioni di caffè, dove vennero loro imposti dei rapporti di lavoro che li gettavano in una posizione semiservile. Nella prima fase migratoria (1878-1902) ha dominato, quindi, l'Italia Settentrionale (52,9%, con Veneto e Friuli in testa), da questa percentuale rimanevano tuttavia esclusi gli emigranti trentini che fino al 1918 risultavano sudditi dell’Impero Austro Ungarico.


(Tratto dal testo "L’emigrazione dal Nord Italia verso le Americhe, da metà Ottocento alla Prima guerra mondiale", a cura del Centro Altreitalie)

 

L'emigrazione italiana in Brasile inizia solo dopo l'inizio del 1900.

A San Paulo gli emigranti lavoravano nelle coltivazioni di caffè.

Ad inizio Novecento gli italiani a San Paulo avevano ottime condizioni di lavoro.

La prima fase migratoria ha per protagonisti soprattutto i veneti e i friulani.