9.3 Cinema

Dialetti e altri idiomi d'Italia

La presenza del dialetto nel cinema italiano, in cui la corrente neorealista ne ha determinato forse la cifra più profonda, ha seguito da vicino le vicende sociolinguistiche di un Paese a lungo dialettofono che si è lentamente impadronito di una lingua comune, pur mantenendo il dialetto come codice ampiamente disponibile. Per poter raggiungere una platea il più possibile ampia, i dialetti riprodotti dalla cinematografia sono in linea di massima depurati dei tratti più specifici, e dunque linguisticamente si avvicinano alle varietà regionali dell’italiano.

 

La riproduzione del dialetto sullo schermo era stata il naturale correlato linguistico della frammentarietà di paesaggi e di persone portata sullo schermi da pellicole come 1860, di Blasetti (1934), e Paisà di Rossellini (1946) in cui la macchina da presa accompagna i protagonisti nel loro percorrere l’Italia rispettivamente all’indomani dell’Unità e negli anni della II guerra mondiale.

 

Il cinema neorealista svilupperà questo approccio “documentaristico” focalizzando l’attenzione su una particolare classe sociale, quella costituita dai ceti subalterni che nell’Italia del dopoguerra si affollavano, vivendo spesso di espedienti, nelle periferie delle grandi città, sempre più affollate per le migrazioni interne. In titoli come Sciuscià, Ladri di biciclette, Rocco e suoi fratelli il dialetto è il correlato linguistico di una componente fino allora “invisibile” della società. All’esperienza del cinema neorealista rimandano anche pellicole come La terra trema di Visconti (1948) e L’albero degli zoccoli di Olmi (1978), in cui il progetto di una scrupolosa ricostruzione ambientale  (da un lato il mondo dei pescatori siciliani descritti da Verga, dall’altro la vita di una famiglia contadina bergamasca di fine ’800) prevedeva non a caso la riproduzione “integrale” del dialetto affidata ad attori non professionisti (e la conseguente necessità di sottotitoli).

 

Con il procedere dell’integrazione sociale e linguistica delle classi più svantaggiate, l’uso cinematografico delle varietà locali sarà soprattutto funzionale a una ipercaratterizzazione dei personaggi, che nella cosiddetta commedia all’italiana diventano poco più che macchiette sociali (si pensi ai protagonisti de I soliti ignoti, 1958).

 

Negli ultimi anni si assiste alla riproduzione integrale del dialetto in pellicole ambientate in contesti storico-sociali prevalentemente dialettofoni perché caratterizzati da diffuso analfabetismo: è il caso della vicenda di emigrazione narrata in Nuovo mondo (2006), o della rappresentazione della vita di una cittadina siciliana di primo Novecento (Baarìa, 2009). Di particolare impatto, proprio perché riferito a una realtà urbana contemporanea, è l’uso del dialetto proposto da Gomorra (2008): nella periferia degradata di Napoli, il dialetto diventa il segno distintivo di una realtà sociale chiusa e opprimente, in cui è assente ogni prospettiva di crescita culturale, e dove si è “vincenti” solo se si ha successo nel mondo della malavita.