Le minoranze linguistiche: lingue d'Europa in bocca italiana

Dialetti e altri idiomi d'Italia
Anteprima: 
Le minoranze linguistiche

Il panorama linguistico della Penisola è arricchito dalla presenza di varietà che, perlomeno fino al recente passato, hanno rappresentato la lingua madre di popolazioni che in diverso modo si sono introdotte nel tessuto sociolinguistico preesistente, e in questo senso le realtà in questione si definiscono come alloglotte. Presenza e consistenza di queste particolari realtà sociolinguistiche all'interno dell'odierno territorio amministrativo italiano sono da ricondurre soprattutto a particolari processi socio-politici (migrazioni, colonizzazioni più o meno forzate, ridefinizione dei confini politici), in virtù dei quali la realtà linguistica italiana assume i connotati di una sorta di Europa linguistica in miniatura.

 

Depositarie, al momento del loro insediamento, di una lingua che, rispetto alle varietà in uso nei diversi territori d'arrivo, era globalmente“altra” e priva di alternative per i parlanti, le comunità alloglotte hanno visto in seguito ampliarsi e articolarsi il proprio repertorio linguistico, confrontandosi da un lato con le varietà dialettali dell'area, dall'altra assumendo progressivamente l'italiano come “polo elevato” del repertorio.

 

Link alla cartina tratta dall’Enciclopedia dell’italiano, diretta da Raffaele Simone, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, vol. II, Roma 2011, pp. 1628-29

 

I provvedimenti di tutela

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La preoccupazione di salvaguardare il patrimonio linguistico delle minoranze, già prevista dalla Costituzione, ha trovato, dopo un lungo travaglio, sbocco legislativo nella legge 482/1999, che, come forme di tutela, prevede la presenza della lingua di minoranza nell'insegnamento scolastico primario e in alcuni usi “pubblici” (toponomastica stradale; alcuni atti amministrativi). Le minoranze linguistiche sottoposte a tutela sono 12: albanesi, catalane (presenti ad Alghero come retaggio della lunga dominazione aragonese in Sardegna), germaniche, greche, slovene, croate, francesi, franco-provenzali, friulane, ladine, occitane e sarde.

 

L'elenco delle lingue di cui è stata disposta la tutela ha suscitato perplessità soprattutto perché non è chiaramente individuabile il criterio che ha ispirato la scelta: se infatti l'elemento socio-linguistico condiviso dalle varietà tutelate fosse quello dell'avere come riferimento, di volta in volta, una lingua-tetto diversa dall'italiano, non si spiegherebbe la presenza nell'elenco di Sardo e Friulano (e in parte anche del ladino), che, proprio per avere l'italiano come lingua-tetto, rientrano a pieno titolo nel dominio italo-romanzo, del quale come si ricorderà rappresentano due distinti “sistemi”. E in ogni caso, il carattere tutt'altro che monolitico di questi sistemi (il Sardo, per esempio, si articola perlomeno in quattro ampie sotto-varietà), non è chiaro “quale sardo” e “quale friulano” possano essere oggetto di codifica e di relativa tutela.

 

D'altra parte, se la preoccupazione fosse stata quella di proteggere realtà messe in pericolo dal convergente rischio dell'isolamento e della scarsa numerosità dei parlanti, avrebbero dovuto essere prese in considerazione, per esempio, anche le colonie gallo-italiche della Sicilia, o le comunità “liguri” esistenti dal Settecento nelle isolette di Sant'Antioco e San Pietro, nella Sardegna meridionale.

 

Una particolare dimenticanza della legge è poi il mancato riconoscimento delle varietà di minoranze “senza fissa dimora”, come lo sono quelle delle diverse comunità nomadi (sinti, rom, kokharanè) presenti nel territorio italiano.

 

Nonostante le comprensibili e legittime critiche a cui la legge è stata sottoposta, è opportuno sottolineare il grande valore, in termini di principio, che viene di fatto riconosciuto e assicurato dalla presenza di uno strumento legislativo che assume la diversità linguistica come imprescindibile bene primario in grado di manifestare e sostenere la libertà individuale, e in quanto tale da proteggere e tutelare.

La formazione delle alloglossie: migrazioni, colonizzazioni, "nuove frontiere"

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Alla massiccia diaspora degli albanesi, originata a partire dal Cinquecento dalla pressione dell'impero ottomano, si deve la consistente presenza di comunità albanofone nel Mezzogiorno. Nel tempo, naturalmente, la varietà di albanese parlata in queste colonie, di per sé un idioma non neolatino, è entrata in rapporto con le varietà circostanti, per confrontarsi oggi anche con l'italiano, e dunque si è allontanata progressivamente dalla varietà di partenza. Oggi si stima che, tra i circa 100.000 “albanesi d'Italia”, il 70/80% parlino o almeno comprendano una varietà di questo albanese, nota come arbërèsh.

Simile alla vicenda delle comunità albanofone è quella che ha portato alla presenza in Molise di comunità croate, che nel corso del XV secolo hanno attraversato l'Adriatico per sottrarsi alla dominazione turca.

 

In modo analogo la presenza in Calabria di comunità di lingua occitana (cioè originaria della Provenza) è legata alla persecuzione di cui, nel corso del Duecento, furono oggetto alcune comunità valdesi, che, riparate soprattutto nella località protetta di Guardia (che prenderà poi l'appellativo Piemontese) hanno tenuto in vita fino ad oggi una varietà di occitano nota come guardiolo. L'occitano, del resto, è tutt'ora in uso nelle cosiddette valli valdesi del Piemonte orientale.

 

A colonizzazioni “pianificate” è invece da ricondurre la presenza delle numerose colonie gallo-italiche in Sicilia (tra le quali si possono ricordare Nicosia, Piazza Armerina, Novara di Sicilia, Sperlinga), nate, al declinare della dominazione araba nell'isola, proprio con l'intento di creare una sorta di “cuscinetto” in funzione anti-araba: in questa prospettiva l'aristocrazia normanna favorì l'arrivo di famiglie provenienti dal Monferrato, la cui varietà linguistica, per quanto progressivamente interferita con i dialetti circostanti, viene tutt'ora percepita come vitale e distinta da chi ne ha competenza.

 

Diversamente, la numerosa comunità germanofona presente nella Provincia di Bolzano (dove, con i suoi circa 200.000 parlanti, vive la più consistente realtà “non italo-romanza” della Penisola) rimanda all'assetto geopolitico emerso dalla prima guerra mondiale, che aveva previsto l'annessione all'Italia della provincia austriaca del Sud Tirolo.

Lungo l'arco alpino sono poi presenti altre comunità germanofone (walser in Piemonte, mòcheni in Trentino, cimbri in Veneto, cui si aggiungono comunità originariamente carinziane nelle dolomiti bellunesi), giunte in seguito a migrazioni di manovalanza specializzata legata all'economia del bosco, e avvenute grossomodo in periodo basso-medievale.

 

Particolari “propaggini” di realtà linguistiche contigue possono invece essere considerate le comunità provenzali del Piemonte occidentale, la realtà franco-provenzale della Val d'Aosta e le comunità slovene del Friuli.

 

Un caso tutt'ora discusso di formazione di una vasta realtà “non italoromanza”, è quello che riguarda le comunità grecofone che, in aree della Sicilia, dell'Aspromonte, e, soprattutto, del Salento, hanno come riferimento linguistico il cosiddetto grico: secondo il Rohlfs l'uso di questa varietà (di per sé sconosciuta in territorio ellenico) sarebbe addirittura il residuo di ininterrotti insediamenti a partire dalla costituzione della Magna Grecia.

Bibliografia

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