9. Al di là del melodramma

Arti

L’evoluzione della musica scenica nell’ultimo sessantennio è contraddistinta, nel mondo, da una pluralità di tendenze contrastanti, riflesso allo stesso tempo delle inquietudini e dei malesseri sociali, politici, artistici d’oggi, ma anche segno della sostanziale vitalità dell’opera, genere che dopo gli anni Venti, all’indomani della Turandot di Puccini, in molti davano per spacciato e che invece, rinnovato soprattutto in contenuti e meccanismi (per esempio partiture concepite per la radio o per contesti multimediali), continua a parlare alla contemporaneità.

In Italia, soprattutto con Luciano Berio (1925-2003) e Sylvano Bussotti (nato nel 1931), si è assistito alla teatralizzazione della musica strumentale e del canto da camera, la cui realizzazione trascende la compostezza del concerto tradizionale mutandosi in performance gestuale che mette in gioco anche la fisicità dell’esecutore, magari fiancheggiato da oggetti o da suoni elettronici. In ambito specificamente scenico, poi, c’è chi prosegue nella formulazione di un teatro narrativo; chi, come Berio, indifferente agli intrecci tradizionali, si è interessato piuttosto alla divaricazione dei piani prospettici e al rapporto instabile tra musica, testo, azione; e chi, come Luigi Nono (1924-90), ha portato avanti con ostinazione l’idea di un teatro d’avanguardia in funzione politica.

 

Salvatore Sciarrino, nato nel 1947, persegue invece l'idea di un teatro antiretorico che trasporti lo spettatore in un altrove magico entro cui possa tuttavia immedesimarsi. Ciò deve avvenire grazie alla formulazione di una musica naturale (che il compositore siciliano chiama anche ecologica o biologica) da ascoltare come si ascoltano i suoni della natura quando ci troviamo sdraiati su un prato: un affinamento della percezione acustica capace di trasformare ogni più piccolo evento sonoro in rivelazione estatica emersa dal silenzio. E il canto, in tale contesto, si fa sismografo espressivo di ogni minuta vibrazione psicologica dei personaggi. Ne è un esempio l'opera Luci mie traditrici rappresentata la prima volta a Schwetzingen nel 1998. Come libretto, Sciarrino utilizza un testo teatrale di Giacinto Andrea Cicognini, Il tradimento per l'onore (1664), prosciugato però al massimo grado nella struttura, nell'azione, nei dialoghi. All'origine di questa pièce barocca vi è un fatto di sangue avvenuto nel 1590, protagonista il musicista Carlo Gesualdo, principe di Venosa, che uccise l'amatissima moglie Maria d'Avalos e l'amante di lei scoperti in flagranza d'adulterio.  

I quattro personaggi dell'opera (il Malaspina, la Malaspina, l'Ospite, il Servo) sono serrati all'interno di uno spazio claustrofobico, dove alla quasi assenza d'azione si contrappone una estrema mobilità del tessuto musicale e un'attenzione convulsa alla sottolineatura artificiosa della parola. Che si arrotola su se stessa in geometrie complesse, si riversa a cascata tra una nota e l'altra, si trasfigura in soffio o si sviluppa in una specie di recitar cantando che pare modellarsi su stoffa plissettata. E dalla parola fiorisce il suono, e la fascia di un alone di timbri mutevoli, impalpabili, tendenti a ripiegarsi in un'interiorità dolorosa, tanto da sembrare fantasmi più che entità concrete.