7.4. Le Grandi Esposizioni Universali

Moda e design

L’ottimismo dell’Ottocento, e la sua fede nella possibilità dell’industria, si riflettono nelle grandi esposizioni. L’industria avrebbe “unito la razza umana” –o press’a poco così sognava il Principe Consorte Alberto nel 1850. All’inizio del periodo della massima espansione industriale, sembrava non esistessero limiti a ciò che l’industria sarebbe stata in grado di realizzare” (Sigfried Giedion).

 

Il passaggio dalla produzione artigiana a quella industriale era ormai evidente e i tempi erano maturi per riunirne i risultati raggiunti nei vari paesi ed esporli al confronto; l’idea quindi di dare carattere internazionale alle esposizioni di prodotti dell’industria si impose.

Lo sviluppo dell’industria in tutti i suoi rami fu accelerato da queste esposizioni, nelle quali si trovava rappresentata ogni branca dell’attività umana: i macchinari, i procedimenti e i prodotti minerari, fabbriche e laboratori di utensileria, fattorie, tutto era in mostra, insieme con opere delle arti belle e applicate. […] realizzava la sintesi dei fini non ancora formulati dell’Ottocento. Essa preannunciava la trasformazione che stava per compiersi nell’uomo, come nell’industria, nei sentimenti dell’uomo come del suo ambiente” (Giedion).

Nel 1851, la Great Exhibition fa il suo exploit nella “dominante” Londra vittoriana: 25 paesi ospiti e 6 milioni di visitatori nell’ardito Crystal Palace, una sintesi di legno, ferro e vetro che aveva risvegliato nuove forme fantastiche: “… è una rivoluzione nell’architettura, da cui daterà un’epoca”, un’impressione di “tanta romantica bellezza.[…] Adopero un linguaggio contenuto e sobrio, se dichiaro lo spettacolo incomparabile, e degno del paese delle fate. È un sogno di una notte di mezza estate, visto alla chiara luce del mezzogiorno” (Lothar Bucher, citato in S. Giedion).

 

Tanta “romantica bellezza” racchiudeva luci e ombre, come risulta dal fervente dibattito sull’alienazione del lavoro meccanico e sulla separazione di lavoro manuale e lavoro intellettuale, testimoniato dalle posizioni della cerchia di Ruskin e Morris (volendo tenere per faro solo l’ambito estetico). Ma proprio perciò è importante segnalare personaggi come Sir Henry Cole, che oltre al ruolo primario svolto nell’esposizione londinese, ha fortemente operato in funzione della collaborazione fra le arti e l’industria, promuovendo interventi didattici anche per elevare il livello del gusto popolare (come gli Arts Manufacturers nel 1847), lo studio e la catalogazione delle arti decorative con l’istituzione del primo museo tematico (l’insuperato Victoria and Albert Museum).

In tempi più maturi si ricomporranno (anche se parzialmente) le due visioni del problema arte-macchina, come nel Deutscher Werkbund creato nel 1907 a Monaco di Baviera.

Il Crystal Palace fu distrutto in un incendio nel 1936. Winston Churchill lo commentò con acutezza come un fatto emblematico, la fine di un'epoca. Di queste grandi opere di ferro e vetro dove non si avverte il peso della superficie trasparente ma “aria e luce; cioè un elemento di fluidità imponderabile” (Boileau), come anche le Galeries des Machines, che hanno accolto le successive esposizioni parigine (dal 1855 al 1889) non rimane traccia fisica. La Tour Eiffel (dal suo geniale costruttore) del 1889, ne è unica superstite, èd è diventata simbolo di una città, di una Nazione, dove turisti stupiti vi si accalcano da tutto il mondo. A salvarla, nel 1909, dalla sprezzante élite artistica della città è stata l’utilità per le antenne di trasmissione della radiotelegrafia, la nuova scienza; è tanto più significativo che nell’esposizione universale di Parigi del 1900, nonostante tante nuove costruzioni, la nuova “meraviglia” fu il cinematografo dei Lumière, non a caso definita poi “la settima Arte”: ma siamo già nel nuovo secolo e l’era meccanica, iniziata dall’invenzione capitale della stampa di Gutenberg, dovrà fare i conti con quella dell’inafferrabile magnetismo e della luce.

Per chiudere il capitolo sul dibattito ottocentesco sulla separazione fra il bello e l’utile che ruota intorno alle Esposizioni Universali ottocentesche, oggi rappresentato dall’”inutile” Tour Effel, possiamo ricordare ancora le parole di Ruskin:

 

«Il mondo non può diventare tutto un'officina… come si andrà imparando l'arte della vita, si troverà alla fine che tutte le cose belle sono anche necessarie».

 

BIBLIOGRAFIA:

  • Sigfried Giedion Mechanization takes Command. A Contribution to Anonymous History, Oxford 1948 (trad. it. L'era della meccanizzazione, Milano 1967)
  • Luca Massidda, Atlante delle grandi esposizioni universali. Storia e geografia del medium espositivo, Franco Angeli editore.