Le figlie del boom economico anni ‘60, le cosiddette babyboomers, indossavano la minigonna, portavano catene e bracciali di plastica colorata, grandi occhiali da sole e ostentavano una nuova libertà.
Accessori in plastica colorata molto vistosi e di forme originali erano in vendita nelle boutique, come le milanesi Cose (nata nel 1963 in via della Spiga), Fiorucci o Gulp, nuove come concezione e stile di esposizione (tutto era esposto e alla portata di tutti), che modificarono il modo di vestire dei giovani e anche l’aspetto delle vie cittadine. La moda dei capelli corti resisteva per le ragazze, mentre le chiome dei maschi si allungavano (i tanto chiacchierati «capelloni»). Negli anni ’70 le donne più emancipate affermeranno la libertà di prendere distanza dalla moda, portando anche nell’abbigliamento la loro contestazione sia al perbenismo delle madri, che al nuovo stile consumistico delle ragazze “alla moda”: comparvero ampie e lunghe gonne, zoccoli e abolizione di quei segni di femminilità contrita da obblighi fisici e morali, fino ai “roghi” del reggiseno dei movimenti femministi, come a richiamare quelli delle streghe e segno che le correnti innescate dalle Bloomers un secolo prima alzavano costantemente la posta verso una liberazione del corpo mentale oltre che fisico.
Il rifiuto della moda esibito dai contestatori di ambo i sessi dagli ultimi anni Sessanta, si trasformò per molti in una nuova moda, cioè, il disprezzato “mercato” se ne appropriò rivendendo poi a caro prezzo quello scarno stile fatto di eskimi (giacche impermeabili con chiusura lampo e ampie tasche) e sciarpe rosse, pantaloni di velluto a coste e Clarks (scarponcini in pelle scamosciata e suola di gomma) divenuta la divisa dei giovani intellettuali che, “maturando”, arricchivano il repertorio con una giacca in tweed un po’ sformata secondo una “moda-non moda” destinata a durare: fu il trionfo del cosiddetto “casual”. Come i jeans (già in auge negli Stati Uniti dagli anni ’50), entrati nella moda Italiana negli anni ‘70 e divenuti sempre più protagonisti dei guardaroba di ogni sesso ed età, declinati in infinite rielaborazioni: ricamati, sfrangiati, tagliati, stinti, bucati … accompagnati dalle irrinunciabili T-shirt, magliette in cotone di forma essenziale (a T appunto), un capo fra i più indossati nel mondo. Le prime furono quelle proposte da Fiorucci con stampe e colori vivaci e da allora sulle T-shirt sono spesso comparse frasi celebri o volti illustri, mentre le polo, anch’esse spesso abbinate ai jeans, sono salite in auge (e con loro i relativi produttori, cavallini o coccodrilli che fossero!) soprattutto attraverso il logo, miglior veicolo di pubblicità gratuita. Oggi le T-shirt compaiono regolarmente, di giorno o di sera, incrostate di pietre, ricamate, rielaborate in mille maniere, con scritte che ricordano i tefilin ebraici o l’abito-poema dadaista, operando una vera rivoluzione nella moda novecentesca.
L’accostamento della T-shirt, indossata sotto la giacca (ovviamente destrutturata) è divenuta la personale, copiatissima, uniforme dello stilista Giorgio Armani, leader indiscusso e inossidabile del made in Italy, sempre all’insegna dello stile e dell’eleganza moderna senza barriere, fisiche o geografiche.