Nel corso del Settecento si vanno affermando in Europa nuove concezioni dello Stato, che rispondono a esigenze diffuse e generali, ma che fanno riferimento soprattutto a due modelli distinti e antitetici: da un lato quello della monarchia costituzionale e parlamentare inglese, dall’altro quello della monarchia assoluta francese. A questa differenza statuale corrispondono anche i diversi interessi dei due Stati, che implicano anche presenze conflittuali sullo scacchiere del continente europeo. Con la morte del re di Francia Luigi XIV (1715) si creano tuttavia le condizioni per una “politica dell’equilibrio” che consentirà un periodo di relativa pace, durante il quale prenderanno avvio nei vari Stati, con differenze e peculiarità, i primi tentativi riformistici, con ricadute positive anche per lo sviluppo economico e sociale.
Per quanto riguarda gli Stati italiani, nel corso della prima metà del secolo, il mutare degli equilibri europei scandito dalla Pace di Utrecht-Rastadt nel 1713, di Vienna nel 1738 e di Aquisgrana nel 1748, ridefinirà progressivamente le zone di influenza in Italia delle potenze europee. L’Austria, sostituitasi alla Spagna nel controllo diretto della Lombardia, grazie a una complessa rete di legami con le dinastie regnanti dei Lorena e dei Borboni estende la propria influenza anche in Toscana, sul ducato di Parma e nel Mezzogiorno; in questa variegata e articolata realtà il governo austriaco, desideroso di consolidare la propria autorità, promuove attivamente lo sviluppo economico e amministrativo. Importanti risultati in questa stessa direzione ottiene in Piemonte e Sardegna il re Vittorio Amedeo II di Savoia, il quale si adopererà in particolare anche per una profonda riforma della scuola e dell’università.
Nel panorama culturale italiano il passaggio dal Sei al Settecento è segnato dalla fondazione dell’Accademia dell’Arcadia (1690), nata dal “circolo” dei letterati che gravitavano intorno alla residenza romana della regina Cristina di Svezia: all’interno di una pratica di evasione che rinvia al mondo fittizio della poesia pastorale (l’Arcadia, appunto, con evidente richiamo all’omonimo romanzo in versi del napoletano Iacopo Sannazaro), il recupero del linguaggio e dei generi poetici classici, insieme a un rinnovato culto della forma e della misura, restaureranno un modello “aureo” di poesia che godrà di enorme fortuna in tutta Italia. Fra i molti seguaci (Carlo Innocenzo Frugoni, Giambattista Felice Zappi, Paolo Rolli, ecc.), l’Arcadia troverà l’espressione più eccellente nell’opera teatrale di Pietro Metastasio (1698-1782).
Contemporaneamente, un vero e proprio risveglio del pensiero scientifico, morale e civile, già avviato in Italia grazie all’opera degli storici Vico e Muratori, troverà linfa nei principi laici e moderni che si affermeranno compiutamente con la nuova cultura illuministica. L’idea della conoscenza fondata sull’uso libero della ragione e sul metodo scientifico sperimentale (anche sulla scia delle tesi degli inglesi Locke e Newton); i principi del giusnaturalismo (l’esistenza di un diritto naturale dell’uomo al quale anche la legislazione deve conformarsi) e del contrattualismo (un “patto”, un mutuo rapporto che vincola gli appartenenti a una stessa società politica e civile) a fondamento dei rapporti tra il cittadino e lo Stato; la libertà e la tolleranza religiosa, sono alcuni dei valori che sosterranno l’impegno erudito e civile degli intellettuali del secondo Settecento, i cui echi arriveranno ad ispirare ancora i grandi letterati del primo Ottocento (Foscolo, Manzoni, Leopardi).
Accanto alle università e alle accademie, i nuovi centri di irradiazione di questa stagione di profondo rinnovamento sono luoghi non “convenzionalmente” istituzionali: circoli, società scientifiche, redazioni di riviste, salotti, caffè…
A Napoli operano, tra gli altri, il filosofo ed economista Antonio Genovesi, titolare della prima cattedra europea di economia politica (1754), che propone nei suoi scritti un’attenta analisi dei problemi legati alla produzione agricola e manifatturiera e all’istruzione; il suo allievo Gaetano Filangieri, impegnato con proposte articolate e concrete per una riforma generale della legislazione; l’economista chietino Ferdinando Galiani, protagonista del dibattito sulle nuove teorie economiche, in particolare, col suo trattato Della moneta (1751), nel quale, attraverso un’analisi dei complessi rapporti che regolano la domanda e l’offerta, elabora una teoria sul valore economico dei beni.
A Milano il gruppo degli intellettuali si riunisce intorno alla rivista “Il Caffè” che, nella sua pur breve vita (1764-66), con vivacità e vis polemica dette voce e divulgò le nuove idee anche a un pubblico di non letterati. Il suo ispiratore e fondatore, Pietro Verri, affiancò ai molti incisivi articoli (anche più prolifico fu il fratello minore, Alessandro) la stesura di alcune opere filosofiche e di economia politica, una Storia di Milano (incompiuta) e le Osservazioni della tortura, pubblicate postume nel 1804.
Nello stesso contesto culturale si colloca il trattato Dei delitti e delle pene, uscito anonimo nel 1764, ma opera del giurista e filosofo milanese Cesare Beccaria. Il breve scritto contro la pena di morte e la tortura, ottenne subito ampia risonanza non solo in Italia, ma in tutt’Europa e fino negli Stati Uniti.
Più elitario fu invece l’ambiente della milanese Accademia dei Trasformati, promossa e istituita dal conte Giuseppe Imbonati; presso la sua dimora si riunirono per oltre un ventennio (1743-1769) alcuni aristocratici illuminati, ma con posizioni moderatamente progressiste. Al suo interno fu accolto per la sua fama il giovane poeta Giuseppe Parini (1753), che se ne distaccò dopo un decennio, maturando, anche alla luce di una profonda valutazione delle contraddizioni che lo avevano visto spettatore in quegli anni, un’originale forma di poesia satirica antinobiliare, impegnata moralmente e civilmente, temi e motivi che saranno sviluppati in particolare nel celebre poemetto Il Giorno, mosso da una ricercatissima ed elegante tessitura formale.
Accostabile al “Caffè” per lo spirito polemico, ma caratterizzata da toni ancora più graffianti e idee anticonformiste è la “Frusta letteraria”, periodico redatto dal torinese Giuseppe Baretti sotto lo pseudonimo di Aristarco Scannabue (dal nome dell’intransigente scrittore dell’antichità Aristarco di Samotracia), e pubblicato prima a Venezia e successivamente, dal 1763 al 1765, ad Ancona. Programmaticamente impegnato in una battaglia critico-moralista contro ogni forma di accademismo e di cattiva retorica letteraria il Baretti si procurò una folta schiera di nemici; restano celebri le sue condanne delle rime del Bembo e delle commedie di Goldoni.