Livello linguistico (Quadro comune europeo di riferimento):
B+
Area tematica:
Arte
Obiettivi contenutistici:
introduzione alla città di Napoli; la pittura di Caravaggio e di Giuseppe De Nittis.
Indici linguistici:
Il periodo ipotetico
Testi:
E. König, Michelangelo Merisi da Caravaggio. 1571-1610, Köln, Könemann, 1997
G. De Nittis, Taccuino 1870/1884, Bari, Leonardo da Vinci, 1964
Percorso accessibile a utenti non udenti.
Siti citati:
http://www.unesco.it/cni/index.php/siti-italiani
http://www.piomontedellamisericordia.it
http://www.pinacotecadenittis.it/home.html
Tempo stimato:
1h30’
Autore:
Valentina Gallo
Breve descrizione:
In questo percorso ti presentiamo uno dei centri storici più antichi d’Europa, quello di Napoli. Una passeggiata tra i suoi vicoli ti porterà a conoscere alcune opere di Michelangelo Merisi da Caravaggio e di un pittore pugliese dell’Ottocento, Giuseppe De Nittis.
L’Italia è uno dei paesi del mondo più ricco di monumenti e di luoghi di interesse artistico. L’UNESCO (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization), a partire dal 1945, anno della sua fondazione, ha dichiarato “patrimonio dell’umanità” quarantasei luoghi italiani. L’elenco completo è consultabile sulla sezione italiana dell’UNESCO: http://www.unesco.it/cni/index.php/siti-italiani.
In questo percorso ti presentiamo una di queste meraviglie: il centro storico di Napoli, a partire dal quale ti sarà possibile conoscere due artisti italiani: Michelangelo Merisi da Caravaggio e Giuseppe De Nittis.
Il centro storico della città di Napoli è “patrimonio dell’Umanità” dal 1995. L’Unesco ha riconosciuto alla città di Napoli:
Napoli è, infatti, tra le più antiche città d’Europa. Le sue origini risalgono al periodo greco-romano. Nel Medioevo fece parte dell’impero di Federico II. Nel Quattrocento fu conquistata dagli Spagnoli, che dominarono la città fino ai primi anni del Settecento. Dopo un breve periodo sotto l’Impero Asburgico, divenne capitale del regno dei Borbone. Nel 1861 entrò a far parte del Regno d’Italia.
Il periodo di massimo splendore è stato il Seicento, quando, sotto la dominazione spagnola, la città vide sorgere splendidi palazzi, che esprimevano la grandeur della nobiltà spagnola.
L’elemento più originale di questa architettura sono le celebri “scale aperte”. Le scale aperte furono adottate dagli architetti spagnoli giunti a Napoli. Dovendo lavorare in spazi ridotti a causa della vicinanza delle case le une alle altre, gli architetti furono costretti a sfruttare al massimo i cortili interni delle case nobiliari. La scala, elemento indispensabile per costruzioni che si innalzavano per diversi piani, venne così spostata all’esterno e trasformata in un elemento scenografico. [che impressiona per la sua spettacolarità]
Passeggiando tra le vie del centro di Napoli, ciò che colpisce è proprio l’altezza delle costruzioni antiche che si affacciano sui vicoli stretti, affollati di venditori, di caffè e di pizzerie. Nessuna di queste c’era quando, quattrocento anni fa, Michelangelo Merisi Caravaggio si trovò a trascorrere un primo breve e tormentato periodo della sua esistenza nella popolosa città napoletana.
Caravaggio giunse a Napoli alla fine del 1606. Il pittore fuggiva da Roma, dove era stato condannato alla pena capitale per omicidio. L’angoscia di questa condanna e le tormentate vicende del pittore condizionano i grandi quadri realizzati a Napoli. Al tema della decapitazione Caravaggio dedica tre dipinti: Giuditta che decapita Oloferne, Salomè con la testa del Battista, Davide con la testa di Golia.
A Napoli, Caravaggio dipinge anche un quadro rivoluzionario: le Sette opere di misericordia che gli fu commissionato [chiesto di eseguire] da una società di beneficenza [che aiuta le persone bisognose], il Pio Monte della Misericordia (clicca qui per vedere il palazzo e conoscerne la storia).
Le Sette opere di misericordia è un’allegoria [rappresentazione per simboli ed immagini] della carità cristiana. Quest’ultima raccomanda di vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, dare da bere agli assetati, curare gli ammalati, dare da mangiare agli affamati, fare visita ai carcerati e seppellire i morti. Caravaggio rappresentò queste opere in una tela bipartita: nella metà inferiore sono rappresentati da sinistra a destra un oste [proprietario di una locanda] che offre alloggio a un pellegrino, Sansone dissetato per grazia divina, San Martino che divide il suo mantello con un giovane dalla schiena nuda, un uomo che trascina il corpo di un morto (di cui si vedono i soli piedi) e una donna che allatta un vecchio carcerato.
La scena è affollata e piena di movimento, i personaggi sono realistici, sporchi e malvestiti, come i modelli che Caravaggio sceglieva per i suoi dipinti.
Nella parte superiore della tela, invece, Maria si affaccia come sospesa e riparata da due angeli. Questo elemento fu aggiunto in seguito, probabilmente su desiderio del Pio Monte della Misericordia.
Analizzando questo quadro, Eberhard König ha sottolineato la separatezza tra il piano umano – i personaggi che occupano la parte inferiore del quadro – e quello divino – la Madonna. E ha aggiunto:
«Secondo la tradizione, doveva trattarsi di una composizione banale, che solitamente vedeva la raffigurazione delle sette azioni misericordiose in distinti medaglioni [dipinto di forma circolare], che facevano corona alla madre di Dio. Caravaggio tuttavia, nel suo dipinto particolarmente originale, ha voluto riunire in un solo avvenimento otto scene non legate fra loro. Maria, che non trova spazio alla base del quadro, scende dal cielo per osservare come vengono compiute le opere di misericordia.
Dal basso nessuno percepisce [vede] la Madonna, perché tutti sono interamente impegnati nel compimento delle rispettive opere di misericordia. Ma anche se qualcuno avesse avuto il tempo di sollevare gli occhi al cielo, Maria e il bambino sarebbero stati ben nascosti, in quanto essi si librano [sono sospesi in volo] al di sopra di una coppia di angeli che volano verso il basso abbracciati, con le loro ali poste in posizione simmetrica [corrispondenti le une alle altre] e cinti da un prezioso tessuto». (E. König, Michelangelo Merisi da Caravaggio. 1571-1610, Köln, Könemann, 1997, p. 120)
Probabilmente a Napoli Caravaggio dipinge anche uno dei suoi più complessi e misteriosi dipinti. È Davide con la testa di Golia. Secondo Gian Pietro Bellori, un antico biografo di Caravaggio, il dipinto sarebbe stato fatto per il cardinale Scipione Borghese. Quest’ultimo stava cercando di ottenere la grazia per Caravaggio, accusato di omicidio e condannato alla decapitazione [taglio della testa].
Davide, il giovane che nella Bibbia è trionfante della vittoria, ha in verità un’espressione triste: guarda la testa di Golia con un volto pieno di compassione. Egli tiene nella destra una spada, sulla cui lama si legge H AS O S. Secondo gli studiosi le lettere incise significherebbero HumilitAS Occidit Superbiam (“l’umiltà uccide la superbia”), una citazione latina di sant’Agostino. Con questa frase Caravaggio avrebbe indicato se stesso che si umilia per ottenere la grazia. Proprio Caravaggio, infatti, si autorappresenta nella testa mozzata [tagliata]di Golia che Davide tiene nella mano sinistra.
Ma c’è di più prosegui il percorso e leggi cosa scrive König.
Si pensa che la testa mozzata del gigante Golia, in un quadro della Galleria Borghese, abbia i tratti [i lineamenti del volto] del Caravaggio. Nello stesso tempo si è creduto di individuare un altro autoritratto dell’artista nel volto del giovane Davide che solleva la testa sanguinante di Golia: come se Caravaggio in questo quadro avesse rivelato la propria natura lacerata [divisa]. […] È certo comunque che la testa di Golia richiama un disegno dell’album di Ottavio Leoni (1509-90), che è considerato la migliore raffigurazione del Caravaggio trasmesso ai posteri [l'umanità futura] […].
Identificando l’artista con la testa mozzata di Golia, il biografo Gian Pietro Bellori (1615-96) ha avallato nel 1672 una tradizione che ha il suo primo esempio in Michelangelo (1475-1564): questi ha dato il suo volto, deformato in modo ancora più impressionante, all’involucro della pelle [alla forma esteriore della pelle] che l’apostolo Bartolomeo, dopo essere stato scorticato, tiene in mano nell’affresco del Giudizio Universale nella Cappella Sistina […]. Il grande fiorentino [cioè Michelangelo Buonarroti di Firenze] scorticato, il pittore originario della località lombarda di Caravaggio decapitato: se questo accostamento non è solo un’invenzione dei biografi, il fatto stesso di aver rappresentato se stesso in un capo mozzato è già una smentita alla diffusa convinzione che Caravaggio non si sia mai ispirato nella sua opera ai maestri che lo hanno preceduto»
(E. König, Michelangelo Merisi da Caravaggio. 1571-1610, Köln, Könemann, 1997, p. 12).
Secondo l’Unesco, Napoli è patrimonio dell’umanità perché:
In quale secolo Napoli ha conosciuto il maggiore sviluppo artistico?
Le “scale aperte” sono:
Perché furono introdotte le scale aperte nel centro storico di Napoli?
Michelangelo Merisi giunse a Napoli:
Chi commissionò a Caravaggio le "Sette opere di misericordia"?
Attribuisci ai seguenti dipinti i rispettivi titoli
Ecco una serie di dettagli del dipinto “Sette opere di misericordia”. Ad ogni immagine corrisponde un’opera di misericordia, indica quale.
Rileggi queste due affermazioni di König a proposito dei due dipinti di Caravaggio, le Sette opere di misericordia e il Davide e Golia:
Si tratta di due periodi molto complessi. Al loro interno però si individuano due identiche strutture: una proposizione introdotta da se che rappresenta la condizione della proposizione reggente.
Condizione | Reggente |
Anche se qualcuno avesse avuto il tempo di sollevare gli occhi al cielo, | Maria e il bambino sarebbero stati ben nascosti |
Se questo accostamento non è solo un’invenzione dei biografi, | il fatto stesso di aver rappresentato se stesso in un capo mozzato è già una smentita alla diffusa convinzione… |
Questo tipo di costrutto si chiama “periodo ipotetico” (link alla grammatica di Sabatini). Il periodo ipotetico è dunque formato da una proposizione subordinata condizionante, che si chiama protasi, e una proposizione reggente condizionata, che si chiama apodosi.
A seconda del grado di realtà o di irrealtà della condizione espressa, nella protasi si può usare il modo indicativo o il congiuntivo. A seconda del modo e del tempo verbale della protasi, si usa l’indicativo o il congiuntivo nell’apodosi.
Osserva questi esempi:
+/- realizzabile | Protasi | Apodosi | Modi e tempi verbali in protasi/apodosi |
+ realizzabile | Se vado a Napoli | voglio vedere la tela di Caravaggio | Indicativo pres. /indicativo pres. |
| Se vado/andrò a Napoli | vedrò la tela di Caravaggio | Indicativo futuro/indicativo futuro |
+/- realizzabile | Se andassi a Napoli | vorrei vedere la tela di Caravaggio | Congiuntivo imperf. / condizionale pres. |
- realizzabile | Se fossi andato a Napoli | avrei visto la tela di Caravaggio | Congiuntivo imperf. / condizionale passato |
Nell’ultimo esempio l’apodosi presenta un condizionale passato: in italiano, infatti, il condizionale composto esprime il futuro nel passato (vedi il percorso Emigrazione in Australia: quale madrepatria?).
Leggi le seguenti fasi e clicca su +, - o +/- a seconda del loro grado di realizzabilità.
1. Se fossi vissuta nel Seicento, mi sarei fatta fare un ritratto da Caravaggio.
2. Se guardi il dipinto con attenzione, ti accorgi che è un falso.
3. Se avessi guardato il dipinto con più attenzione, ti saresti accorto che è un falso.
4. Se riuscissi a prendere il treno delle 10.00 arriveresti a Napoli alle 12.00.
5. Se prenderò il treno delle 10.00 arriverò a Napoli alle 12.00.
6. Invece, se ti piacesse la pittura, non potresti non amare Caravaggio.
7. Se osservi il “Canestro di frutta” di Caravaggio, ti accorgi che la frutta è ritratta con realismo tale da mostrare le imperfezioni naturali.
In base al tempo e al modo del verbo della protasi, inserisci quello dell’apodosi (indicato tra parentesi) nel modo e tempo corretto:
Adesso inserisci il verbo nella protasi.
Il soggiorno di Caravaggio a Napoli lascia un segno profondo nella pittura dell’Italia meridionale. Da Caravaggio in poi la natura acquista una grande importanza nella pittura meridionale, anche per la particolare intensità dei colori e degli elementi paesaggistici di quei luoghi. Napoli, in particolare, diventa una delle mete del grand tour europeo: vi arrivano poeti ed artisti in cerca di quell’atmosfera unica che la caratterizza. I quartieri popolosi del centro e le sue coste sul mare diventano un soggetto ricorrente nella pittura sette e ottocentesca.
Napoli è anche la capitale del Regno delle Due Sicilie: essa esercita una forte attrazione anche sui sudditi [abitante del regno] pugliesi [abitanti della Puglia, una regione d’Italia], calabresi [abitanti della Calabria, una regione d’Italia] e siciliani [abitanti della Sicilia, una regione d’Italia]. Proprio l’anno in cui nasce il Regno d’Italia, nel 1861, un giovane pugliese di Barletta di appena sedici anni giunge a Napoli. Si chiama Giuseppe de Nittis ed è destinato a diventare uno dei più famosi pittori italiani dell’Ottocento.
La pittura di Giuseppe De Nittis inizia sotto il segno del realismo: i suoi primi quadri rappresentano il paesaggio dei dintorni di Barletta, con una precisione tale da fare concorrenza alla fotografia. Deciso a studiare pittura, De Nittis si trasferisce a Napoli e si iscrive all’Istituto di Belle Arti. Il suo carattere esuberante [vivace], però, e l’insofferenza [incapacità di sopportare] per la pittura “accademica” gli fanno lasciare gli studi. Con un gruppo di pittori fonda a Resina, un paesino nei dintorni di Napoli, la “Scuola di Resina”. L’intento è quello di liberarsi della pittura “accademica”, per dipingere in modo diretto e più libero la natura dal vero, en plein air.
Il successo premia De Nittis, che, dopo poco, parte per Parigi. La sua breve vita (morirà a soli 38 anni) si svolgerà tra Parigi, dove conoscerà e sposerà Léontine Gruville, e Londra. Nelle capitali europee imparerà a dipingere non solo gli oggetti, ma anche le atmosfere, sia quelle della moderna metropoli sia quelle dei paesaggi.
Seppure lontano dalla sua terra, De Nittis continua a dipingere paesaggi pugliesi, come l’incantevole Lungo l’Ofanto, il fiume che bagna Barletta.
Di tanto in tanto, torna in Italia. In uno di questi soggiorni, a Napoli, dipinge una serie di vedute del Vesuvio di grande valore, sia quelle che ritraggono il vulcano in lontananza (intitolate Sulle pendici del Vesuvio e La discesa dal Vesuvio), sia quella che rappresenta l’esplosione del 1872 (La pioggia di Cenere, Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti).
Buona parte della sua produzione è oggi conservata presso la Pinacoteca [Museo dedicato alla conservazione di quadri] G. De Nittis, a Barletta.
Alla morte del marito, Léontine pubblica il suo diario. Te ne proponiamo un breve brano, leggi con attenzione, vi ritroverai la stessa passione per la natura che si scorge nei suoi quadri di paesaggio.
A Napoli
Volevo diventare un pittore. Di qui la grande collera di Vincenzo [Vincenzo De Nittis, fratello più grande di Giuseppe e capo famiglia].
A Napoli e più ancora nei nostri paesi di provincia, essere artisti vuol dire “bohême”. Per lo meno allora i borghese la pensavano così.
Se avessi detto che volevo fare il muratore o il tagliapietre, l’indignazione di Vincenzo non sarebbe stata maggiore. Avrei disonorato la mia famiglia.
Ostinato, io intanto ripetevo:
-Sarò pittore!
E me ne andavo vagabondando per le strade, procurandomi tele e colori come potevo mentre la mia educazione artistica si veniva formando da sola.
Non contano i risultati, solo l’ideale conta. E se io sono riuscito a infondere nella mia pittura un po’ di quella mia ardente passione per la natura, di quel mio profondo amore per lei, ebbene soltanto questo conta […].
Così, ogni mattina, prima dell’alba, uscivo di casa e correvo a cercare i miei compagni pittori, molto più grandi di me, Rossano e Marco de Gregorio. […] Che bei tempi! Con tanta libertà, tanta aria libera, tante corse senza fine! E il mare, il gran cielo e i vasti orizzonti!
Lontano, le isole di Ischia e Procida; Sorrento e Castellammare in una nebbia rosea che, a poco a poco, veniva dissolta dal sole.
E, da per tutto, un profumo di menta selvatica e di aranceti, che io adoro. Chiacchieravamo fraternamente con i marinai, i contadini, le donne e le belle ragazze.
A volte, felice, restavo sotto gli improvvisi acquazzoni. Perché, credetemi, l’atmosfera io la conosco bene; e l’ho dipinta tante volte. Conosco tutti i colori, tutti i segreti dell’aria e del cielo nella loro intima natura. Oh, il cielo! Ne ho dipinti di quadri! Cieli, cieli soltanto, e belle nubi.
La natura, io le sono così vicino! L’amo! Quante gioie mi ha dato! Mi ha insegnato tutto: amore e generosità. […] È con il loro cielo che io mi raffiguro i paesi ove sono vissuto: Napoli, Parigi, Londra.
Li ho amati tutti. Amo la vita, amo la natura.
Amo tutto ciò che ho dipinto.
Napoli 1874
Vincenzino [Il nipote del poeta] ci aspetta alla stazione […]. – Ah! Peppino [Diminutivo di Giuseppe]! Quanti cambiamenti troverai qui! Da quando Roma è diventata capitale d’Italia, ogni giorno è una metamorfosi. Hanno allargato le strade, costruito comodi palazzi moderni e perfino un magnifico mercato. Se non siete troppo stanchi andiamo a piedi, il cocchiere [Colui che guida la carrozza] è fidato, lo conosco, porterà lui i bagagli.
In quanto ai miglioramenti e ai cambiamenti, ehm! Troppi ne avevo visti dopo il 1870 e non mi avevano affatto incantato. La Napoli che io amavo era quella ingenua e pittoresca, dall’incomparabile animo poetico e io adoravo tutto di lei, le sue passioni, le sue violenze e perfino le sue selvagge esplosioni di collera. Io non amo la lingua italiana, trovo che manca di virilità ed è troppo solenne, preferisco il mio caro dialetto, facile e colorito e soltanto in quello riesco a esprimermi con spirito!
Della Napoli d’altri tempi, quella della mia giovinezza, tutto mi incantava, dalle grida dei venditori, degli acquaioli [Antico venditore ambulante di acqua fresca e bibite], dei pescatori, dei verdurai [Venditori di ortaggi] e degli innumerevoli rivendigliuoli [Piccoli venditori ambulanti] che traggono dalla strada il loro sostentamento, fino a quell’immenso mormorìo ininterrotto che sale come un soffio rivoltoso sin alle altezze di San Martino [Convento dei monaci certosini sulla collina del Vomero che sovrasta la città] in quell’aria che è di una tale sonorità da far talvolta distinguere con chiarezza le parole che provengono dal basso.
(G. De Nittis, Taccuino 1870/1884, Bari, Leonardo da Vinci, 1964, pp. 25-26, 28-29 e 91-92)
Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false:
Il fratello di Giuseppe De Nittis pensa che la professione di “pittore” sia poco onorevole
La prima formazione di De Nittis avviene da autodidatta, cioè senza la guida di un maestro
Per dipingere il paesaggio napoletano, De Nittis usciva di casa al tramonto
De Nittis cercava di cogliere, nei suoi quadri, l’atmosfera di un paesaggio
Dopo la presa di Roma e la trasformazione della città in capitale d’Italia, nel 1871, Napoli conobbe un periodo di decadenza
Secondo De Nittis, la lingua italiana non è abbastanza mascolina
L’aria di Napoli, per De Nittis, è piena delle voci della città
Rileggi queste due frasi dal Taccuino di De Nittis:
Come avrai certamente capito, si tratta di due esempi di periodi ipotetici:
Entrambi sono introdotti dalla congiunzione se. Se però non è l’unica congiunzione che può introdurre il periodo ipotetico:
Oltre a qualora, possono introdurre il periodo ipotetico anche le locuzioni nel caso che (o in cui), a condizione che (o in cui), posto che, ammesso che, e molte altre (vedi il percorso La canzone italiana dagli anni settanta agli anni novanta)
Tutte però vogliono il congiuntivo della protasi:
Completa le seguenti frasi, declinando il verbo all’indicativo o al congiuntivo in base al verbo dell’apodosi:
Leggi adesso queste frasi:
Le tre frasi che hai appena letto sono dei periodi ipotetici con la protasi in forma implicita (link alla Grammatica di Sabatini).
Questo tipo di protasi:
Volgi le seguenti protasi esplicite in protasi implicite usando il costrutto indicato nell’ultima colonna:
| Esplicita | Implicita | Costrutto |
a. | Qualora potessi, acquisterei anche La pioggia di cenere | Potendo, acquisterei anche La pioggia di cenere | Gerundio |
b. | Se fossi sincero, direi che Colazione in giardino è un quadro virtuosistico | parola sincero, direi che Colazione in giardino è un quadro virtuosistico | a + infinito |
c. | Se la vedi nei quadri di De Nittis, Napoli ti sembra sospesa sull’acqua | parola nei quadri di De Nittis, Napoli ti sembra sospesa sull’acqua | Participio passato |
d. | Se guardi La discesa dal Vesuvio, ti sembra di sentire le voci dei turisti incantati dal paesaggio ai loro piedi. | parola La discesa dal Vesuvio ti sembra di sentire le voci dei turisti incantati dal paesaggio ai loro piedi. | Gerundio |
Completa, adesso, le protasi delle seguenti frasi seguendo le indicazioni inserite tra parentesi