"L’impietrito e il velluto": l’ultimo amore

    Letteratura e teatro

    La poesia L’impietrito e il velluto, l’ultima che Ungaretti scrive, porta la data Roma, notte del 31 dicembre 1969 – mattina del 1° gennaio 1970; verrà pubblicata il 10 febbraio 1970, giorno in cui il poeta compie ottantadue anni. È inserita nella sezione Croazia segreta.

     

    In Croazia segreta il poeta ricorda la vecchia balia croata, Dunja, la tenerissima e espertissima fata che aveva allietato la sua infanzia ad Alessandria; con dolore e pudore insieme il poeta confessa di aver provato di nuovo l’emozione, lo stupore che suscitava in lui l’amata balia incontrando lo sguardo di velluto di una bellissima giovane donna, l’ultimo amore, struggente e straziante di un vecchissimo ossesso.

     

    CROAZIA SEGRETA
    da NUOVE
    Roma, Harvard, Parigi, Roma, dal 12 aprile al 16 luglio 1969

     

    LE BOCCHE DI CATTARO


    Quando persi mio padre, nel 1890, e avevo solo due anni, mia madre accolse in casa nostra, come una sorella maggiore, una vecchia donna, e fu la mia tenerissima, espertissima fata.
    Era venuta tanti anni prima in Egitto dalle Bocche di Cattaro dove risiedeva, ma era per nascita più croata, se possibile, che non sia la gente delle Bocche.

    Lo stupore che ci raggiunge dai sogni, m'insegnò lei a indovinarlo. Nessuno mai si rammenterà quanto se ne rammentava lei, di avventure incredibili, nè meglio di lei le saprà raccontare per invadere la mente e il cuore d'un bambino con un segreto inviolabile che ancora oggi rimane fonte inesauribile di grazia e di miracoli, oggi che quel bimbo è ancora e sempre bimbo, ma bimbo di ottant'anni.
    Ho ritrovato Dunja l'altro giorno, ma senza più le grinze d'un secolo d'anni che velandoli le sciupavano gli occhi rimpiccioliti, ma con il ritorno scoperto degli occhioni notturni, scrigni di abissi di luce. Di continuo ora la vedo bellissima giovane, Dunja, nell'oasi apparire, e non potrà più attorno a me desolarmi il deserto, dove da tanto erravo.

    Non ne dubito, prima induce a smarrimento di miraggi, Dunja, ma subito il bimbo credulo assurge a bimbo di fede, per le liberazioni che sempre frutterà la verità di Dunja.

    Dunja, mi dice il nomade, da noi, significa universo.

    Rinnova occhi d'universo, Dunja

     

     

    DUNJA


    Si volge verso l'est l'ultimo amore,
    Mi abbuia da là il sangue
    Con tenebra degli occhi della cerva
    Che se alla propria bocca lei li volga
    Fanno più martoriante
    Vellutandola, l'ardere mio chiuso.

    Arrotondìo d'occhi della cerva
    Stupita che gli umori suoi volubili

    Di avvincere con passi le comandino
    Irrefrenabili di slancio.

    D'un balzo, gonfi d'ira
    Gli strappi, va snodandosi
    Dal garbo della schiena
    La cerva che diviene
    Una leoparda ombrosa.

    O, nuovissimo sogno, non saresti
    Per immutabile innocenza innata
    Pecorella d'insolita avventura?

    L'ultimo amore più degli altri strazia,
    Certo lo va nutrendo
    Crudele il ricordare.

    Sei qui. Non mi rechi l'oblio te
    Che come la puledra ora vacilli,
    Trepida Gambe Lunghe?

    D'oltre l'oblio rechi
    D'oltre il ricordo i lampi.

    Capricciosa croata notte lucida
    Di me vai facendo
    Uno schiavo ed un re.

    Un re? Più non saresti l'indomabile?


     

     

    L'IMPIETRITO E IL VELLUTO
    Roma, notte del 31 dicembre 1969 – mattina del 1° gennaio 1970

     

    Ho scoperto le barche che molleggiano
    Sole, e le osservo non so dove, solo.

    Non accadrà le accosti anima viva.

    Impalpabile dito di macigno
    Ne mostra di nascosto al sorteggiato
    Gli scabri messi emersi dall'abisso
    Che recano, dondolo nel vuoto,

    Verso l'alambiccare
    Del vecchissimo ossesso
    La eco di strazio dello spento flutto
    Durato appena un attimo
    Sparito con le sue sinistre barche.

    Mentre si avvicendavano
    L'uno sull'altro addosso
    I branchi annichiliti
    Dei cavalloni del nitrire ignari,

    Il velluto croato
    Dello sguardo di Dunja,
    Che sa come arretrarla di millenni,
    Come assentarla, pietra
    Dopo l'aggirarsi solito
    Da uno smarrirsi all'altro,
    Zingara in tenda di Asie,

    Il velluto dello sguardo di Dunja
    Fulmineo torna presente pietà.

     

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