È un poema in terzine dantesche, suddiviso in 50 cantiche e preceduto da tre sonetti che fanno da proemio. I sonetti formano un acrostico[1], perché le parole che li compongono sono costituite da vocali e consonanti a cui corrispondono in modo ordinato e progressivo le lettere iniziali di ogni terzina del poema.
Nel Poema Boccaccio racconta in prima persona un sogno: guidato da una donna gentile che lo porta in salvo da un luogo buio e oscuro, il poeta giunge a un castello. Per entrarvi ci sono due porte, quella piccola e stretta che conduce alla virtù, quella larga e grande che porta alla gloria mondana. Attraverso la porta della gloria, entra in stanze in cui sono rappresentati i trionfi della Sapienza, della Gloria, dell’ Amore, della Ricchezza e della Fortuna; la descrizione delle pitture è così puntuale che molti critici hanno identificato questo castello con Castelnuovo di Napoli, affrescato da Giotto. Il poeta giunge poi in un giardino dove incontra Fiammetta; si apparta poi con lei in un luogo solitario ma quando cerca di possederla il sogno svanisce e Boccaccio si risveglia con accanto la sua guida che lo rimprovera e lo invita a seguire la virtù. Il poema termina con un’invocazione a Fiammetta perché spenga il fuoco della sua passione mostrandosi gentile con lui.
È evidente l’influenza di Petrarca – che compone i Trionfi quasi nello stesso periodo – ma anche quella di Dante per il viaggio salvifico sotto la guida di una donna gentile. A differenza di Dante, però, Boccaccio non dà ascolto alle indicazioni della sua guida e preferisce seguire la comoda via dei beni mondani al posto di quella impervia che porta alla virtù. Per questo motivo alcuni critici hanno visto nell’opera un’ imitazione ironica della Commedia.
[1] Dal greco tardo ἀκρόστιχον, composto di ἄκρον, «estremo» e στίχος, «verso». Si tratta di un componimento poetico in cui le lettere o le sillabe o le parole iniziali di ciascun verso formano un nome o una frase.