Italiano e dialetti fuori d'Italia

Emigrazione e lingua italiana nel mondo
Anteprima: 
Storia linguistica dell'emigrazione italiana

L’italiano e i suoi dialetti sono diffusi ancora oggi non solo sul territorio nazionale del nostro stato, ma anche in altre realtà più o meno vicine.

 

L’italiano è infatti parlato e riconosciuto ufficialmente in Paesi più vicini a noi come Croazia, Svizzera e Slovenia, oltre che a San Marino e nella Città del Vaticano, ma è usato anche i Paesi più lontani. In Eritrea è usato come lingua di ampia comunicazione, in Romania è riconosciuto come lingua di una minoranza, in Somalia gli è conferito lo status ufficiale di seconda lingua nazionale del Governo Federale Transitorio insieme all’inglese.

 

Viene inoltre parlato in molti Stati dall’Australia all’Argentina, dall’Egitto al Canada, dove la presenza dell’italiano è legata a rapporti economici, politici, diplomatici, commerciali di lunga data, ma anche alla presenza di comunità di emigrati di origine italiana che hanno portato con sé l’italiano e i sui dialetti e hanno contribuito alla loro diffusione nel mondo. 

 

(A cura di Francesca Gallina)

Qual è la storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo?

Emigrazione e lingua italiana nel mondo

L’Italia unitaria ha visto emigrare verso altri Paesi milioni di propri cittadini che a più ondate sono partiti per “fare fortuna”, portando con sé la propria lingua e la propria cultura.

 

I cambiamenti linguistici ed identitari che si sono verificati nell’Italia postunitaria possono essere descritti anche in relazione alla storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo, ricostruendo non solo i cambiamenti linguistici delle nostre comunità all’estero, ma anche il loro rapporto con l’italiano, i paralleli mutamenti nell’assetto linguistico del nostro paese, il destino dei dialetti, gli interventi dello Stato italiano a favore dell’identità linguistica dei nostri emigrati, la posizione attuale dell’italiano nel “mercato delle lingue” (Calvet L.-J., Le marché aux langues, 2002), lo spazio linguistico italiano globale.

 

Già nel 1963 Tullio De Mauro nella sua ricostruzione storica delle vicende dell’italiano post-unitario aveva individuato nell’emigrazione italiana verso l’estero uno dei fattori cardine del processo di italianizzazione della penisola. Più recentemente Vedovelli, ricostruendo la Storia linguistica dell’emigrazione italiana all’estero (2001) consolida questa interpretazione, approfondendo il ruolo giocato dalle comunità italiane. I primi emigrati italiani all’estero sono partiti per lo più dialettofoni e analfabeti, portando con sé il dialetto ed entrando in contatto sia con la lingua del Paese ospite che con i dialetti degli altri italiani. All’estero hanno vissuto processi paralleli a quelli verificatisi dentro i confini nazionali, con lo sviluppo di dinamiche linguistiche con esiti simili o assimilabili, che hanno portato a una necessaria convergenza verso moduli comunicativi comuni, in virtù della necessità di comunicare tra persone appartenenti a gruppi dialettali distinti. Laddove sono entrati in contatto i dialetti, si sono sviluppate forme di contatto linguistico con esiti spesso ibridi, misti, che hanno portato a convergere verso l’italiano, o quanto meno a ciò che le comunità stesse intendevano per italiano, e verso la lingua del paese di arrivo, pur mantenendo viva, soprattutto nelle prime generazioni, l’identità linguistica più locale, legata alla vita quotidiana e all’espressione degli affetti. Anche i numerosi rientri, con i loro effetti economici e culturali, hanno favorito lo sviluppo linguistico parallelo, così come il valore simbolico dell’identità linguistica, e non solo linguistica, degli emigrati, il loro essere intrinsecamente legati al Paese di origine, o ancora i processi di istruzione/alfabetizzazione e le loro conseguenze sul piano culturale e linguistico.

 

Ma la storia linguistica della nostra emigrazione può essere interpretata anche come momento di frattura se si guarda alla seconda grande ondata migratoria, quella del secondo dopoguerra, che pur innestandosi e continuando per molti tratti le linee di tendenza dell’emigrazione storica, di fatto introduce numerosi elementi innovativi. Questi emigrati sono maggiormente scolarizzati e forti di una più ampia esposizione alla lingua d’uso nazionale, oltre che maggiormente esposti ai mass media che consentono di entrare in contatto con la lingua realmente usata. Essi percepiscono una forte distanza tra l’italiano usato nei contesti di emigrazione e quello usato in Italia, dando come esito immaginari linguistici in cui si ha un’autovalutazione negativa della propria identità linguistica e l’italiano va conquistato costantemente in quanto mai pienamente posseduto. Le condizioni linguistiche dei giovani e giovanissimi discendenti dei nostri emigrati all’estero, che sono oggetto di un progetto di ricerca loro dedicato, possono invece essere descritte immaginando un vero e proprio slittamento dell’italiano al di fuori del loro spazio linguistico, essendo per costoro l’italiano una vera e propria L2, una lingua straniera da scegliere e apprendere come patrimonio della propria identità o come lingua che nel mercato attuale delle lingue e nei Paesi di residenza di questi giovani ha assunto una posizione di grande prestigio e interesse anche al di fuori delle comunità di origine italiana.

 

 

Fonte: Storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo, a cura di Massimo Vedovelli, Roma, Carocci, 2011.

Lo spazio linguistico italiano globale

Emigrazione e lingua italiana nel mondo

A partire dalla nozione di ‘spazio linguistico italiano’ elaborato da Tullio De Mauro in Guida all’uso delle parole (1983), Vedovelli (2011) ha elaborato quella di ‘spazio linguistico italiano globale’, allargando il suo campo di applicazione anche al di fuori dei confini nazionali, ovvero riprendendo gli assi che definiscono lo spazio linguistico italiano secondo lo schema demauriano, ma focalizzandosi soprattutto sull’asse che ha come poli l’italiano e il dialetto. Si tratta di uno spazio globale perché comprende vicende passate, ma anche attuali, dell’emigrazione italiana all’estero e perché riguarda la presenza della lingua italiana nel mondo sia rispetto agli utenti stranieri sia agli emigrati italiani e ai loro discendenti.

 

L’italiano è oggetto di apprendimento da parte di molti stranieri, compare nei panorami linguistici urbani di molti Paesi nel mondo, costituisce una lingua da apprendere anche per molte giovani generazioni di discendenti di emigrati italiani. Per tale ragione includere in un modello di spazio linguistico dell’italiano anche gli utenti stranieri e le comunità emigrate all’estero diventa oggigiorno necessario.

 

L’immagine rappresenta graficamente gli assi che descrivono lo spazio linguistico italiano globale.

Sul primo asse, che assume particolare valore nella ricostruzione della storia linguistica della nostra emigrazione all’estero, si collocano: le lingue immigrate che negli ultimi decenni sono entrate in Italia grazie all’arrivo di molti immigrati stranieri; il dialetto e le lingue di minoranza di antico insediamento, sia in forme conservative di mantenimento dei tratti originali, sia in forme ibride a seguito del contatto e del mescolamento con l’italiano o con l’italiano e allo stesso tempo con la lingua del Paese ospite; l’italiano con tutte le sue varietà, dall’italiano popolare, spesso mischiato con il dialetto o la lingua del Paese ospite, all’italiano di contatto degli immigrati stranieri in Italia, dall’italiano appreso dagli stranieri all’estero a quello appreso dai discendenti dei nostri emigrati, infine dall’italiano presente nei panorami linguistici urbani a quello dei mass media; la lingua del Paese ospite, nel suo entrare in contatto con l’italiano e il dialetto, appresa in contesto formale o informale, o ancora appresa come L1 dai più giovani di origine italiana.

 

Sul secondo asse si pongono le scelte degli utenti a seconda delle funzioni della lingua: lingua etnica, usata nei contesti familiari e intracomunitari oltre che nei panorami linguistici per connotare le proprie attività commerciali in chiave etnica; lingua identitaria, usata nei contesti ufficiali istituzionali e nei contesti formativi, nei rapporti con gli italiani non emigrati e con l’Italia; lingua nazionale del Paese, usata nei contesti di comunicazione formale e informale, nei contesti scolastici e di interazione con stranieri di altra origine.

 

Gli altri assi invece riguardano i canali di comunicazione, dal parlato endofasico e a voce, allo scritto che oggi comprende anche la videoscrittura, l’uso del cellulare e altri supporti, oltre che la radio, la televisione, la stampa.

Tale modello interpretativo ci aiuta a collegare le comunità italiane nel mondo alla società di arrivo e a quella di partenza, evidenziando il forte grado di plurilinguismo che si viene a creare a seguito degli spostamenti migratori, con processi di contatto linguistico e commistione che ampliano le risorse comunicative a disposizione degli individui e delle comunità. Inoltre esso consente di individuare le esigenze e i possibili interventi di una politica linguistica realmente capace di essere efficace e di andare oltre i limiti tradizionali di tanti interventi del nostro Stato a favore delle comunità italiane, cogliendo la reale natura che ha avuto e che ha assunto l’italiano presso i nostri emigrati all’estero.

 

 

Fonte: Storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo, a cura di Massimo Vedovelli, Roma, Carocci, 2011.

I corsi di lingua e cultura italiana

Emigrazione e lingua italiana nel mondo

La legge 3 marzo 1971 n. 153 costituisce un punto di riferimento fondamentale per la storia linguistica dell’emigrazione italiana all’estero. Tramite questa legge sono state infatti messe in atto attività di formazione e assistenza scolastica a favore dei lavoratori italiani all’estero e dei loro familiari, proponendo in particolare dei ‘Corsi di lingua e cultura’ la cui realizzazione ha assunto forme e modi assai diversificati a seconda del contesto di applicazione della legge.

 

La legge prevedeva l’attivazione di corsi con l’obiettivo da un lato del mantenimento dell’identità linguistica italiana nei giovani emigrati all’estero in vista di un possibile rientro in patria e dall’altro lato per il sostegno all’inserimento di tali studenti nei contesti scolastici locali. Tali obiettivi hanno assunto prospettive diverse a seconda del Paese in cui è stata applicata la legge: in Francia, pur essendo attuate strategie compensative rispetto alla lingua di origine, di fatto le politiche linguistiche e migratorie francesi spingevano per una completa assimilazione, ovvero per l’abbandono della lingua di origine. In Germania invece il mantenimento della diversità, e quindi il mantenimento della lingua di origine, ha rappresentato un obiettivo soprattutto in virtù delle differenti politiche verso gli immigrati stranieri da parte dello Stato tedesco.

 

I corsi erano per lo più attuati in stretto raccordo con le scuole straniere, più che con le scuole italiane all’estero, in forma extracurriculare e parascolastica, destinati ai soli studenti di origine italiana e basati su obiettivi piuttosto bassi, con un approccio fortemente compensativo. I corsi spesso assumevano i modelli locali di istruzione, e hanno iniziato a essere frequentati anche da studenti di origine non italiana o da studenti con un legame solo formale con la propria origine italiana, oramai totalmente assimilati al Paese di vita, per cui l’insegnamento assumeva metodi e strumenti tipici dell’apprendimento formale di una lingua straniera più che di una lingua di origine, come nel caso della Francia. In Germania invece, quale esempio di contesto di applicazione della Legge 153/71 totalmente differente, i corsi si ponevano l’obiettivo di fornire un appiglio identitario con la lingua di origine, che spesso i ragazzi non conoscevano dal momento che in casa era usato il dialetto o un tedesco interlinguistico come il Gastarbeiterdeutsch.

 

I corsi di lingua e cultura ex lege 153/1971 hanno subito nel corso del tempo una forte evoluzione sia nei destinatari, non più solo ragazzi di origine italiana ma anche di altre origini, sia nel repertorio plurilingue degli studenti, non più ragazzi con un repertorio linguistico che comprende una qualche varietà di italiano o di dialetto, ma ragazzi per i quali l’italiano è appreso alla stregua di una lingua straniera. La diversificazione dei pubblici dei corsi e il loro allargamento sono lo specchio della posizione dell’italiano nel mondo che secondo i dati di ‘Italiano 2000’ (De Mauro et al. 2002) si colloca tra le lingue più studiate al mondo.

La progressiva riduzione di risorse nel contesto di crisi economica in cui viviamo ha inciso fortemente sulle capacità di mantenere in vita i corsi da parte degli enti gestori, tuttavia i corsi si sono evoluti diventando in molti contesti un punto di riferimento per chi desidera studiare l’italiano indipendentemente dalla propria origine, dando quindi prova di una estrema vitalità e attrattività della lingua italiana nel mondo.

 

 

Fonte: Maria Cristina Castellani, I corsi di lingua e cultura italiana: i diversi contesti e la formazione dei docenti, in Storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo, a cura di Massimo Vedovelli, Roma, Carocci, 2011, pp. 175-192.

La storia linguistica dell’emigrazione italiana in Europa

Emigrazione e lingua italiana nel mondo

L’Europa ha rappresentato un’importante meta migratoria per l’Italia fin dall’Unità. Ancora oggi il 55,3% degli italiani all’estero, secondo i dati della Fondazione Migrantes, vive in Europa. Gli emigrati del secondo dopoguerra sono partiti per l’Europa più scolarizzati e con un contatto più diretto con la lingua italiana, sebbene essa in realtà non fosse una lingua d’uso dominante nel contesto familiare e nel Paese di origine. Il mantenimento dell’italiano e del dialetto è stato favorito in Europa dalla vicinanza geografica, che consentiva periodici ritorni, e dai progetti migratori che spesso prevedevano il ritorno in patria, anche per la natura stagionale dello status lavorativo dei migranti. Inoltre l’applicazione della Legge 153/71 in Europa ha trovato ampio spazio, favorendo i processi di parallelismo con il percorso di italianizzazione che si stava svolgendo in Italia. Tutto ciò ha permesso di mantenere un contatto più stretto con il Paese di origine e con il suo spazio linguistico, concentrandosi attorno ai due poli del dialetto e dell’italiano, oltre che della lingua del Paese di arrivo. Tuttavia, l’evoluzione dello spazio linguistico delle comunità è fortemente diversificata a seconda delle condizioni di ogni singolo Paese, dell’architettura del suo spazio linguistico, delle sue politiche linguistiche, educative e di integrazione.

 

In Francia l’apprendimento del francese è stato interpretato come un obiettivo fondamentale per l’integrazione e il successo migratorio, relegando l’uso dell’italiano ai soli contesti familiari. Fino agli anni Ottanta la percezione della lingua italiana era particolarmente negativa, arrivando a sfociare in atteggiamenti ostili verso le associazioni italiane che in altri contesti migratori hanno fortemente contribuito al mantenimento dell’italiano tra i nostri emigrati. In particolare nelle generazioni successive alla prima è il francese a dominare in tutti i contesti, con conseguente perdita dell’italiano.

 

In Belgio, dove quella italiana è una delle comunità più consistenti pur vivendo in una persistente condizione di marginalità per ragioni di natura economica, sociale e culturale, il mantenimento dell’italiano dipende essenzialmente dal luogo di residenza (con una netta differenza tra Bruxelles e il resto del Paese) e dalla posizione sociale delle famiglie italiane. I dialetti sono sostanzialmente andati persi, mentre l’italiano si è diffuso e si è mantenuto nella sua varietà popolare. Nelle famiglie di ceti sociali bassi esso è usato solo in famiglia, mentre tra gli impiegati si usa solo il francese. Tra coloro che sono usciti dalle zone residenziali a maggioranza italiana e che sono saliti più in alto nella scala sociale, invece, l’identità italiana è dichiarata apertamente con il conseguente recupero della lingua.

 

In Gran Bretagna l’insegnamento dell’italiano vive una doppia condizione: lingua di prestigio studiata nelle scuole più prestigiose per il suo patrimonio culturale e lingua rifiutata in qualità di lingua immigrata. Con l’ondata migratoria dell’inizio degli anni Novanta però l’italiano diventa uno dei valori attorno ai quali la comunità si riconosce e non più un elemento da celare per integrarsi. Il repertorio della comunità italiana è oggigiorno composto da italiano di varietà popolare, dialetto e inglese.

 

In Svizzera un lungo percorso ha portato la comunità italiana a integrarsi pienamente anche dal punto di vista linguistico, pur conservando il repertorio di origine nelle generazioni successive alla prima e anzi contribuendo all’affermazione e alla diffusione dell’italiano anche e soprattutto nei cantoni di lingua tedesca. Dal repertorio della comunità italiana è però fuoriuscito il dialetto. L’italiano inoltre si colloca in una posizione di forza anche grazie alla sua diffusione presso altre comunità come lingua veicolare in molti domini.

 

La comunità italiana in Germania è la seconda comunità italiana dopo quella Argentina. Il suo patrimonio linguistico, che spesso è stato descritto nei termini di semilinguismo, di fatto oggi si caratterizza per una forte complessità, data dall’intreccio di italiano, dialetto e tedesco con sfumature e gradi differenti, convergenti in ogni caso verso un potenziale linguistico multivariato.

 

 

Fonte: Monica Barni, Europa, in Storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo, a cura di Massimo Vedovelli, Roma, Carocci, 2011, pp. 203-303.

La storia linguistica dell’emigrazione italiana in America del Nord

Emigrazione e lingua italiana nel mondo

L’America del nord ha vissuto e tuttora vive processi di emigrazione dall’Italia, pur con esiti differenti tra Canada e Stati Uniti, che con New York in particolare sono divenuti il paradigma dell’emigrazione italiana all’estero. 

 

Gli Stati Uniti sono il primo paese per numero di emigrati italiani all’estero ed oggi ospitano 16 milioni di cittadini di origine italiana, con flussi migratori che si sono concentrati particolarmente agli inizi del Novecento. Numerosi sono i miti nati per descrivere la presenza della nostra emigrazione in questo Paese, che ha assunto una funzione di simbolo dell’emigrazione all’estero. Lo spazio linguistico dell’emigrazione italiana negli Stati Uniti si caratterizza per un’estrema dinamicità, a seconda dell’età, la generazione, il sesso, il livello di scolarizzazione, l’origine, l’inserimento sociale e lavorativo, e include varietà che vanno dal dialetto all’angloamericano e che si collocano al di fuori di varietà standard, con numerose interferenze e semplificazioni linguistiche.

 

L’italiano popolare assume nelle prime generazioni la funzione di varietà alta nel repertorio, cui si affiancano i dialetti, una varietà di italiano fortemente misto e naturalmente l’angloamericano. Le generazioni successive, e in particolare le terze e le quarte generazioni, subiscono un processo di shift linguistico verso l’inglese, che comporta un uso dell’italiano con valore simbolico, legato solo a contesti e pratiche di gruppo particolari. Di fatto, il repertorio linguistico degli emigrati italiani, che inizialmente era pluridialettale, è la lingua American-Italian, frutto del contatto fra tutte le varietà che si ritrovano nello spazio linguistico della comunità. Particolarmente interessante è anche il fenomeno del Broccolino, mescolanza di dialetti italiani e di inglese-americano utilizzata in particolare nella Little Italy di Brooklin, segno distintivo di più generazioni di emigrati che ha condizionato fortemente l’immaginario linguistico degli emigrati italiani negli Stati Uniti.

 

Il Canada ha iniziato ad accogliere consistenti flussi migratori dall’Italia soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale. Per descrivere lo spazio linguistico dei nostri emigrati in Canada sono state elaborate due posizioni principali: da alcuni il repertorio degli emigrati di origine italiana è visto come incapacità di gestire adeguatamente sia l’italiano che l’inglese, da altri invece è visto come un sistema autonomo, frutto del contatto linguistico nel contesto di arrivo, che è stato definito come italiese.

 

L’italiese sarebbe dunque una varietà parlata dalla prima generazione di emigrati che deriva dalla dialettizzazione di termini ed espressioni inglesi. Nelle seconde e terze generazioni l’italiese continua a far parte del repertorio linguistico, ma subisce profondi cambiamenti con fenomeni di code-switching e il ricorso all’italiese per vezzo o per farsi comprendere meglio in famiglia. Nel loro repertorio inoltre trovano spazio l’inglese, l’italiano e i dialetti, con una progressiva scomparsa però dell’italiese in primo luogo e quindi dell’italiano a favore delle lingue del Paese di arrivo. Il dialetto a sua volta subisce un fenomeno di marginalizzazione, essendo usato solo in contesto familiare e soprattutto laddove vi sia un nonno italiano.

 

 

Fonte: Sabrina Machetti, America del Nord, in Storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo, a cura di Massimo Vedovelli, Roma, Carocci, 2011, pp. 387-428.

La storia linguistica dell’emigrazione italiana in America Latina

Emigrazione e lingua italiana nel mondo

L’America Latina ha giocato un ruolo centrale nella storia linguistica dell’emigrazione italiana, che assume a seconda dei contesti dei diversi Paesi tratti assai eterogenei. La maggior parte degli arrivi in America Latina è avvenuta a fine Ottocento e in misura minore nel XX secolo. L’italiano è oggi presente nell’insegnamento scolastico e universitario di tutta l’America Latina, nella comunicazione pubblica sociale, nei mass media. Tuttavia, la pluralità di storie linguistiche dell’emigrazione si traduce anche in una pluralità di esiti dal punto di vista linguistico, con forti differenze tra Paesi come Argentina e Brasile e altri Paesi dalle comunità italiane meno consistenti.

 

L’Argentina accoglie tra la fine del XIX e la prima metà del XX secolo numerosi italiani di ogni regione, molto spesso analfabeti e dialettofoni, portando così al contatto numerosi dialetti e a processi di sviluppo dell’italiano paralleli a quelli in atto in patria. L’incontro successivo tra lo spagnolo locale e i dialetti italiani ha avuto come esito il cocoliche, una varietà di transizione, e il lunfardo, un argot urbano. Nonostante siano numerosissimi gli italianismi presenti nella varietà di spagnolo castellano, di fatto gli emigrati italiani si sono completamente integrati, perdendo così ogni contatto con la lingua italiana dopo le prime generazioni. Oggi l’italiano è stato ampiamente recuperato come lingua straniera non tanto per ragioni identitarie, ma per le condizioni sociali ed economiche che hanno dato valore strumentale all’apprendimento dell’italiano da parte di chi ha origini italiane e ne acquista la cittadinanza.

 

In Brasile l’insediamento in colonie di molti emigrati italiani, spesso provenienti dalle regioni settentrionali e in particolare dal Veneto, ha portato al mantenimento dei dialetti di partenza, che hanno conservato così numerosi tratti linguistici, e alla creazione di comunità linguisticamente omogenee. Il taliàn è un esempio di dialetto parlato nel Rio Grande do Sul, idioma di koinè sud brasiliano a base veneta influenzato da altri dialetti italiani e dal portoghese. Nei contesti urbani invece, come San Paolo che costituisce il polo urbano italiano più grande al mondo con circa 15 milioni di abitanti di origine italiana, gli italiani hanno vissuto una progressiva conquista dell’italiano e del portoghese.

 

Nel secondo dopoguerra il Venezuela accoglie numerosi italiani con un repertorio in cui il dialetto è presente, ma accanto all’italiano. A causa dei numerosi rientri inoltre le varietà di partenza sono state mantenute e recuperate accanto allo spagnolo. Le seconde generazioni sono sostanzialmente ispanofone, con uno slittamento dell’italiano fuori dal loro spazio linguistico.

Anche in Uruguay si è formata una consistente comunità italiana ancora prima dell’Unità italiana, con una netta prevalenza di uomini nei flussi migratori, per cui le seconde generazioni sono diventate presto ispanofone. L’italiano è quindi diventato una lingua straniera, da studiare per emigrare in Europa.

 

Il caso di Chipilo, in Messico, è particolarmente significativo. Fondata nel 1882 dagli abitanti di un paese della provincia di Treviso, si caratterizza per una comunità molto chiusa e isolata rispetto ad altre comunità italiane in Messico, che è riuscita a conservare il dialetto del paesino di origine nei suoi tratti linguistici originari. Solo negli ultimi anni le più giovani generazioni di discendenti italiani hanno subito le pressioni della società messicana orientando maggiormente la propria identità linguistica e culturale verso quella messicana.

 

Infine anche in Paesi come Cile, Colombia, Perù, Ecuador, Bolivia e Paraguay, toccati solo marginalmente dall’emigrazione italiana, l’italiano e i dialetti sono andati scomparendo dopo le prime generazioni, lasciando spazio solo allo spagnolo.

 

 

Fonte: Carla Bagna, America Latina, in Storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo, a cura di Massimo Vedovelli, Roma, Carocci, 2011, pp. 305-357.

La storia linguistica dell’emigrazione italiana in Australia

Emigrazione e lingua italiana nel mondo

La lingua italiana, giunta per la prima volta in Australia nel XIX secolo con i primi emigrati, tra cui missionari, politici in esilio, musicisti ed artisti, e inizialmente studiata dalle élite come lingua di cultura, di fatto si diffonde su larga scala con le ondate migratorie di origine italiana dei primi decenni del Novecento e soprattutto del secondo dopo guerra. I cospicui arrivi dall’Italia hanno fatto della comunità italiana la comunità emigrata più consistente fino a pochi anni fa, minacciata oggi dalla forte riduzione dei flussi di arrivo e dal progressivo invecchiamento della prima generazione, in parte contrastato dall’emergere delle seconde e delle terze generazioni. Ancora oggi comunque l’italiano costituisce la lingua comunitaria più diffusa secondo i dati dell’ultimo censimento del 2006, sebbene tale primato sia minacciato dall’emergere di altre lingue comunitarie come il mandarino, l’hindi, il serbo, il coreano ecc. L’italiano è inoltre fortemente presente in Australia nei panorami linguistici urbani delle principali città, soprattutto nelle insegne di negozi e ristoranti, come illustra la foto che rappresenta un’attività commerciale del centro di Melbourne. Esistono infine numerosi mass media destinati alla comunità italiana che hanno contribuito alla diffusione e al mantenimento della lingua di origine, come ad esempio La Fiamma o Il Globo o Rete Italia, e che ancora oggi hanno un buon seguito.

 

Gli emigrati italiani del secondo dopo guerra erano giunti in Australia con un maggiore grado di italofonia e scolarizzazione rispetto a quelli che li avevano preceduti, con un repertorio linguistico che comprendeva il dialetto e l’italiano più come immagine di una lingua che come competenza e uso. Negli anni Cinquanta gli emigrati italiani arrivano portando con sé il dialetto e inoltre una varietà di italiano regionale-popolare, maturando però in Australia la consapevolezza della necessità di conquistare una varietà di italiano più elevata, oltre all’inglese. Il loro repertorio dunque si articola in tre poli: dialetto, italiano, inglese. Il livello di shift verso l’inglese è piuttosto forte sia per l’invecchiamento della prima generazione e la mancanza di nuovi arrivi, sia per lo scarso ruolo attribuito alla lingua per garantire la continuità del gruppo, oltre che per la diglossia italiano-dialetto e gli atteggiamenti negativi degli emigrati verso il dialetto. Nelle seconde e soprattutto nelle terze generazioni l’inglese domina fortemente, al punto che per le terze generazioni l’italiano rappresenta ormai una lingua sconosciuta, essendo attirati dal suo apprendimento più per il rinnovato prestigio dell’italiano in tutta la società australiana che per le proprie origini. Nelle seconde generazioni inoltre è il dialetto che domina sull’italiano. La diglossia tra italiano e dialetto non è però rigida, dal momento che l’inglese ha una forte capacità di penetrazione nel dominio familiare a scapito dell’italiano, su cui si esercita una pressione anche dal basso del dialetto.

 

Inoltre in Australia molti studiosi hanno ipotizzato l’esistenza di una varietà autonoma di italiano d’Australia, l’australitaliano, caratterizzato dall’inserzione di voci adattate o influenzate dall’inglese.

 

 

Fonte: Francesca Gallina, Australia e Nuova Zelanda, in Storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo, a cura di Massimo Vedovelli, Roma, Carocci, 2011, pp. 429-475.

La storia linguistica dell’emigrazione italiana in Africa

Emigrazione e lingua italiana nel mondo

L’italiano ha rappresentato la lingua franca in varie aree del Mediterraneo anche prima della colonizzazione e si è diffuso nel nord Africa fino alla sua sostituzione da parte del francese e dell’inglese. Con gli emigrati italiani sono arrivati in Africa anche i dialetti: nel nord Africa si è diffuso il dialetto siciliano, mentre nel Corno d’Africa si è affermato il veneto. I dialetti erano usati anche con gli autoctoni, dando vita a forme che sono frutto del contatto tra dialetti italiani e dialetti locali. Attualmente è da segnalare il flusso migratorio dall’Italia verso Paesi come il Kenia o la Tanzania, dove si sta stabilendo parte dell’imprenditoria italiana legata soprattutto al turismo, iniziando a condizionare così lo spazio linguistico locale.

 

Nel Corno d’Africa si è venuta a creare una varietà di contatto pidginizzata per interagire con i colonizzati, utilizzata come lingua franca nel periodo coloniale e in seguito scomparsa. In questo contesto, nel repertorio linguistico degli emigrati italiani trovavano posto i dialetti, usati soprattutto in contesto familiare ma anche in alcuni contesti pubblici, l’italiano, usato come lingua dell’amministrazione e della scuola, e la varietà di contatto usata con gli indigeni.

 

Nel nord Africa e in particolare in Tunisia è fiorita inizialmente una varietà dialettale comune o koinè a seguito dell’insediarsi in loco di una forte comunità siciliana analfabeta e dialettofona. Successivamente il contatto con comunità arabofone e francofone ha portato alla trasformazione di questa koinè e allo sviluppo di una varietà mista di siciliano, italiano, arabo-tunisino e francese. Il siculo-tunisino era parlato dal 70% della comunità, anche se il suo uso non era tollerato in contesto scolastico.

 

In Sud Africa è invece sorta una varietà di italiese sudafricano, con una base prevalentemente inglese e con innesti di italianismi o pseudoitalianismi. L’italiese sudafricano si differenzia dagli altri italiesi (canadese, australiano o nordamericano) per l’influsso che le lingue locali hanno esercitato su di esso. L’italiese usato dalla comunità italiana in Sud Africa ha accolto infatti elementi provenienti dall’afrikaans e da alcune lingue bantu come isizulu, isixhosa e sesotho. Per quanto riguarda i dialetti, essi sono rimasti in uso all’interno di alcune comunità regionali presenti in Sud Africa, da un lato subendo infiltrazioni da parte dell’inglese e dall’altro mantenendo numerosi elementi linguistici che non si sono invece conservati nei dialetti attualmente parlati in Italia.

 

 

Fonte: Raymond Siebetcheu Youmbi, Africa, in Storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo, a cura di Massimo Vedovelli, Roma, Carocci, 2011, pp. 477-509.

La storia linguistica dell’emigrazione italiana in Giappone ed Estremo oriente

Emigrazione e lingua italiana nel mondo

La storia linguistica dell’emigrazione italiana nell’Estremo Oriente è piuttosto anomala rispetto ad altre aree geografiche, sia per il minore impatto degli arrivi di emigrati italiani, sia per i tratti che caratterizzano gli emigrati stessi. L’Estremo Oriente ha sempre rappresentato un luogo lontano verso cui migrare e forse tale ragione, insieme a motivazioni di altra natura, non ha mai portato molti italiani ad emigrare in Cina, Giappone o Tailandia. Solo recentemente la maggiore facilità di spostamento a livello globale e l’evoluzione economica del mondo occidentale e dell’Estremo Oriente ha indotto un numero maggiore di italiani a migrare verso oriente.

 

Prendendo in esame in caso del Giappone, Paese con il quale sono stati intensi i rapporti culturali con l’Italia fin dall’inizio del XX secolo, si è avuto lo sviluppo di un interesse crescente verso la lingua e la cultura italiana. Tale interesse ha fatto fiorire corsi per l’insegnamento della lingua e della cultura italiana in numerosi contesti, dalle università alle scuole medie superiori, dalle scuole private e associazioni nippo-italiane agli Istituti Italiani di Cultura di Tokyo e Kyoto/Osaka. Infine l’interesse verso l’italiano è testimoniato anche da corsi trasmessi dalla televisione giapponese. Inoltre la lingua italiana è molto presente nei panorami linguistici urbani delle città giapponesi, con numerose attività commerciali e di ristorazione che hanno nomi legati a italianismi o pseudoitalianismi.

 

Proprio negli Istituti Italiani di Cultura di Tokyo e Kyoto/Osaka negli ultimi anni è stata accolta la richiesta di corsi di italiano per giovani e giovanissimi per i figli di genitori italiani che risiedono in Giappone. Ciò che caratterizza gli attuali emigrati italiani in Giappone, e che li differenzia da quelli emigrati in altre aree in tempi meno recenti, sono i più elevati livelli di scolarità e i repertori linguistici che oggi includono l’italiano standard, facendone davvero gli “ambasciatori” della lingua italiana nel mondo.

Per quanto concerne le generazioni successive alla prima, anche in questo caso si ha una forte differenziazione rispetto alle seconde e terze o quarte generazioni di altre zone di emigrazione italiana nel mondo. Nel caso del Giappone, infatti, l’italiano standard appartiene in pieno al repertorio linguistico del contesto familiare e pertanto non rappresenta una lingua da apprendere come in situazioni quali ad esempio l’Australia o l’Argentina, ma piuttosto una lingua da mantenere nel senso più proprio del termine.

 

 

Fonte: Mika Maruta, Giappone ed Estremo Oriente, in Storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo, a cura di Massimo Vedovelli, Roma, Carocci, 2011, pp. 511-532.

Ricognizioni sulla storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo

Emigrazione e lingua italiana nel mondo

Sulla storia dell’emigrazione italiana nel mondo sono stati condotti numerosi lavori di ricognizione, attenti soprattutto ad aspetti storici, sociali, demografici ed economici del fenomeno emigratorio. Sono invece meno numerosi i lavori ricognitivi sugli aspetti linguistici, sui quali è possibile reperire numerosi lavori, che hanno però il limite di concentrarsi su situazioni specifiche e non su una visione globale della storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo.

 

Nel 2011 è uscita la Storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo di Massimo Vedovelli (ed. Carocci), che costituisce un’opera di sintesi ricognitiva sulle dinamiche linguistiche dell’emigrazione italiana nel mondo a partire dall’Unità d’Italia. Si tratta di un tentativo di inquadrare un oggetto di studio complesso e di riflettere su una materia composita, sintetizzando l’ampia bibliografia esistente e delineando i fatti linguistici che hanno riguardato le comunità italiane all’estero nei loro Paesi di vita, nei rapporti con le lingue e le culture con cui sono entrati in contatto, ma anche nella relazione che hanno stabilito con la propria lingua di origine e con i processi che hanno contemporaneamente trasformato il volto linguistico italiano. Il volume raccoglie inoltre una serie di schede che sintetizzano a loro volta la bibliografia riguardante specifiche aree geografiche, spesso esempi paradigmatici delle dinamiche e dei processi linguistici vissuti dalla nostra emigrazione all’estero.

 

Meno recenti sono altre due ricognizioni in materia. Nel 1994 Lorenzetti (I movimenti migratori, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni e P. Trifone, ed. Einaudi)  pubblica un’accurata analisi partendo dai movimenti preunitari, individuando anche in essi dei processi di italianizzazione e delle spinte convergenti verso moduli comunicativi sovra regionali. Lorenzetti riconosce il ruolo svolto dall’emigrazione italiana all’estero nei processi di convergenza verso varietà linguistiche sovralocali e di italianizzazione, collegandoli a due fattori fondamentali come l’alfabetismo e i livelli di istruzione.

 

Sempre nel 1994 Bertini Malgarini (L’italiano fuori d’Italia, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni e P. Trifone, ed. Einaudi) pubblica un’attenta analisi, all’interno di un lavoro più generale sulle condizioni dell’italiano nel mondo, collocando le vicende linguistiche delle nostre comunità all’estero tra i processi di diffusione della lingua italiana. Il lavoro sottolinea la caratterizzazione dell’italiano come “lingua etnica” pur sottolineando la mancata affermazione dell’italiano lingua etnica nelle nostre comunità a causa di fattori linguistici (la base dialettofona dell’emigrazione storica), culturali (i bassi livelli di istruzione), socio demografici (la consistenza e la composizione della comunità). Inoltre l’autrice si concentra in particolar modo sulle varietà linguistiche sviluppatesi nei diversi contesti migratori, dalla Svizzera all’Australia.

Un più recente lavoro ricognitivo è quello di Bettoni e Rubino (L’italiano dell’emigrazione: temi, approcci teorici e metodologie di indagine, in SILTA, XXXIV, 3), che nel 2010 propongono un bilancio delle questioni e dei riferimenti teorici, ma anche delle metodologie di indagine relative alle vicende linguistiche della nostra emigrazione all’estero. La ricognizione non assume una prospettiva storica, ma piuttosto mette in luce i processi sottesi alle dinamiche linguistiche dell’emigrazione italiana e i modelli di studio di tali processi, sottolineando la necessità di aprirsi a modelli di ricerca internazionali, per stimolare il dibattito e la circolazione dei risultati delle ricerche tra studiosi.

 

 

Fonte: Storia linguistica dell’emigrazione italiana nel mondo, a cura di Massimo Vedovelli, Roma, Carocci, 2011.

Bibliografia

Emigrazione e lingua italiana nel mondo