L’emigrazione ha toccato tutte le regioni italiane (vedi tabella 1), in particolare le regioni settentrionali, tra le quali tre in particolare che, nel periodo che va dal 1876 al 1900, fornirono da sole il 47 per cento del contingente migratorio: il Veneto (17,9 per cento), il Friuli Venezia Giulia (16,1 per cento) e il Piemonte (12,5 per cento).
Dal Settentrione l’emigrazione privilegiò l’Europa e l’America Latina, con ulteriori suddivisioni per quello che riguarda le mete transoceaniche: dal Veneto si andò prevalentemente in Brasile, mentre i piemontesi scelsero l’Argentina. Dalle regioni dell’Italia centrale l’emigrazione si divise equamente tra stati nordeuropei e mete transoceaniche.
Nella seconda metà dell’Ottocento, lo sviluppo dei trasporti transoceanici rese le Americhe più vicine del Nord Europa: navi che trasportavano merci dall'America all'Europa, facevano il viaggio di ritorno con un carico di emigranti. Dal 1860 gli emigranti iniziarono a partire con le navi a vapore da Genova ma, grazie a più efficienti collegamenti ferroviari, anche da Marsiglia, Brema, Amburgo, Liverpool.
Con l’affermarsi della produzione monoculturale, sviluppatasi per andare incontro alla crescente richiesta di materie prime da parte del mercato internazionale, i paesi dell’America Latina si trovarono ad aver bisogno di una massa crescente di manodopera. Le principali mete dell’emigrazione italiana furono l’Argentina e il Brasile, ma non sono da trascurare le migrazioni minori in alcuni paesi latinoamericani, per l’impronta culturale che gli italiani vi hanno apportato, contribuendo in molti casi ai processi di nation building di queste società. Marinai e commercianti corsi ed elbani in Venezuela, valdesi in in Uruguay, marinai e commercianti liguri in Perù.
In Brasile gli italiani approdarono in massa (vedi tabella 2) dopo l’abolizione della schiavitù (1888) e si diressero prevalentemente in due aree, quella degli attuali stati di Săo Paulo e di Santa Catarina e Rio Grande do Sul nell’area più meridionale del Paese. Nell’area paulista gli italiani furono impiegati prevalentemente nelle piantagioni di caffè, dove vennero loro imposti dei rapporti di lavoro che li gettavano in una posizione semiservile. Nella prima fase migratoria (1878-1902) ha dominato, quindi, l'Italia Settentrionale (52,9%, con Veneto e Friuli in testa), da questa percentuale rimanevano tuttavia esclusi gli emigranti trentini che fino al 1918 risultavano sudditi dell’Impero Austro Ungarico.
La presenza di italiani sul territorio della futura Argentina risale al periodo coloniale, lombardi e piemontesi compaiono in alcune delle prime colonie, come Chivilcoy, nella provincia di Buenos Aires o San Carlos nella provincia di Santa Fe, assieme a tedeschi, svizzeri e francesi. Durante la prima metà dell’Ottocento, l’Argentina costituì un rifugio per molti esiliati che avrebbero poi partecipato ai moti risorgimentali. A partire da metà Ottocento fu la seconda destinazione delle migrazioni transoceaniche italiane.