4. Letteratura, scienza e filosofia nell'età del Barocco

Letteratura e teatro
1600

La guerra dei Trent’anni che tra il 1618 e il 1648 vide in campo tutte le potenze nazionali per la ridefinizione della supremazia politica (e anche religiosa) in Europa, devastò il continente con esiti catastrofici per le popolazioni e modificò profondamente la carta politica generale. La grande crisi e la nuova situazione prodotta secondo accordi della pace di Vestfalia, determinarono trasformazioni rilevanti anche dal punto di vista culturale. Tra i paesi vincitori, sia l’Olanda che l’Inghilterra dettero avvio a un’articolata riflessione sulle proprie istituzioni; ma sarà la Francia di Luigi XIV, riorganizzata profondamente, che seppe emergere quale potenza egemone nel panorama europeo. L’inarrestabile declino seguito alla sconfitta dell’Impero asburgico, nei suoi due rami spagnolo e austriaco, ebbe peraltro pesanti ripercussioni anche nei suoi domini. In Italia, ormai totalmente soggetta alla Spagna, la crisi economica, insieme all’azione repressiva esercitata dalla Chiesa, determinarono una decadenza generale, con una progressiva perdita di peso politico delle Corti.

Questa realtà, tra l’altro spesso dominata dall’egemonia ecclesiastica, richiedeva un più stretto controllo attraverso un ben strutturato apparato burocratico e amministrativo, cosicché emersero nuove figure più specializzate: diplomatici, tecnici e funzionari, che soppiantarono gli intellettuali-artisti che erano stati i protagonisti del Rinascimento. Solo pochi letterati, svincolatisi dalla protezione di un singolo principe, riuscirono ad affermare il proprio prestigio viaggiando da una corte all’altra. Enorme successo fino in Francia ottenne, ad esempio, Giovan Battista Marino (1569-1625), napoletano, ma attivo in numerose città italiane, da Roma a Torino, da Venezia a Ravenna: sperimentatore spregiudicato di ogni artificio retorico e metrico, rielaborò con libertà e originalità la produzione lirica a lui precedente, affermandosi come vero e proprio caposcuola della nuova poesia barocca (nota appunto anche come “marinismo”). La sua poetica è ben riassunta dal verso «È del poeta il fin la meraviglia». Della sua ricchissima produzione in versi si ricordano almeno le due raccolte, La lira e la Galeria, gli idilli pastorali della Sampogna, e soprattutto il poema Adone (1623), di impianto mitologico, ma ricco di implicazioni e contenuti sentimentali, religiosi, storico-politici e anche scientifici.

Si deve più propriamente al torinese Emanuele Tesauro (1592-1675), trattatista, tragediografo e storiografo, la teorizzazione sistematica della poetica barocca fondata sulla «argutezza». La sua opera più importante, Il cannocchiale aristotelico, è appunto un trattato nel quale, attraverso l’applicazione della Retorica del filosofo greco, sono individuate le forme e le potenzialità dell’«elocuzione» ingegnosa, capace di suscitare, attraverso una più acuta e variata lettura del reale, il piacere artistico.

Il ferrarese Daniello Bartoli (1608-1685) tradurrà questi stessi principi nella propria prosa (in cui, non a caso, ritorna più volte, ancora, il termine «meraviglia»); fu autore di opere grammaticali, devozionali, morali e storiche tra le quali una monumentale Istoria della Compagnia di Gesù, in 27 volumi (1653-1673). Alle norme propriamente letterarie aveva dedicato nel 1645 Dell’uomo di lettere difeso ed emendato.

4.1 Le accademie scientifiche: il Cimento e i Lincei

L’affermazione della fiducia nelle capacità conoscitive dell’uomo, con le radici nel Rinascimento, fruttifica proprio in questa temperie, dapprima soprattutto in Inghilterra e in Francia, ma con originalità e rigoglio anche in Italia. Il sapere scientifico, fondato su una conoscenza verificabile, espressa in forma di leggi matematiche, si sviluppa soprattutto grazie e attraverso il dibattito nelle nuove accademie sostenute dallo Stato (ad esempio la Royal Society for the Advancement of Learning a Londra e l’Académie des Sciences a Parigi). In Italia, alle già numerose Accademie sorte nel Cinquecento, se ne aggiungono ora delle nuove, che privilegiano la conoscenza scientifica; primeggia in particolare quella dei Lincei, fondata a Roma nel 1603 per promuovere appunto la rinascita degli studi scientifici e naturalistici. Ebbe tra i suoi membri Galileo Galilei (1611; già accademico della Crusca dal 1605), del quale pubblicò il Saggiatore (1623), sostenendo la sua battaglia per l’affermazione del copernicanesimo di fronte alla Chiesa. L’attività dell’Accademia, tuttavia non sopravvisse a lungo alla morte del suo fondatore, Federico Cesi (1585-1630).

Quasi “erede” di questa, e ancora di ispirazione galileiana ma più legata al mecenatismo della corte medicea, nacque a Firenze nel 1657 per volontà del principe (poi cardinale) Leopoldo de’ Medici l’Accademia del Cimento, fondata dagli allievi di Galileo, Evangelista Torricelli e Vincenzo Viviani. Il programma, racchiuso già nel motto tratto dalla Commedia “Provando e riprovando”, comprendeva ogni ambito della ricerca scientifica, spaziando dalla fisica alla matematica, dall’astrofisica alla termodinamica, alla fisiologia umana e vegetale. Il Cimento ebbe vita breve, ma ricca di risultati: lo raccontano, tra l’altro, i Saggi di naturali esperienze, pubblicati nel 1667 dal segretario Lorenzo Magalotti (1637-1712), nei quali è raccolta gran parte dell’attività sperimentale svolta nei dieci anni di attività dell’Accademia.

Personaggio di grande rilievo e complessità, tra scienza, lessicografia e letteratura fu l’aretino Francesco Redi (1626-1698), “primo medico” di Ferdinando II e Cosimo III de’ Medici e membro sia dell’Accademia del Cimento che della Crusca. Tra i suoi scritti scientifici, che si distinsero anche per la chiarezza espositiva e stilistica e per la perizia linguistica, si ricordano almeno le Osservazioni intorno alle vipere del 1664 e le Esperienze intorno alla generazione degli insetti del 1668 (in cui dimostrò attraverso rigorose osservazioni la falsità delle teorie sulla generazione spontanea degli insetti). Nell’Accademia della Crusca fu arciconsolo e collaborò attivamente ai lavori per la III edizione del Vocabolario (1691). Per quanto riguarda la sua attività poetica, nel 1666, in occasione di un convito scherzoso (“stravizzo”), avrebbe composto una prima versione del Bacco in Toscana, successivamente rielaborato e pubblicato nel 1685, che fu il suo componimento poetico più celebre anche per il virtuosismo linguistico e metrico. Negli ultimi anni di vita il Redi fu ascritto al circolo letterario romano della regina Cristina di Svezia, da cui trasse origine nel 1690 l’Accademia dell’Arcadia.

Il progressivo affermarsi del metodo galileiano e insieme la definizione del programma purista e classicista legato all’attività dell’Accademia della Crusca indirizzarono l’orizzonte culturale della fine del ’600 in sempre più chiara opposizione al barocco più esteriore, anticipando almeno in parte le tendenze di rinnovamento profondo che impronteranno il secolo dei “lumi”. 

4.2 Gli studi storico-filosofici

Vissuti a cavallo tra il sec. XVII e il sec. XVIII ma, appunto, già “precursori” in qualche modo delle nuove correnti, furono gli storici Ludovico Muratori (1672-1750) e Giambattista Vico (1668-1744).

Il primo, Prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano tra il 1695 e il 1700, e successivamente responsabile degli archivi ducali e della Biblioteca Estense di Modena, si formò sullo studio rigoroso di manoscritti e documenti antichi, dei quali preparò accurate edizioni. Da questo metodo critico nasceranno anche le sue imponenti opere storiografiche: si ricordano almeno i 25 volumi dei Rerum Italicarum Scriptores, successivamente compendiati in italiano col titolo di Annali d’Italia, e le Antiquitates italicae medii aevi, una nuova lettura del Medio Evo che restituì a quest’epoca, considerata fino ad allora di barbarie, la giusta portata nella storia della civiltà italiana. Tra le opere minori è degno di nota il trattato Della perfetta poesia (1706), nel quale, attraverso l’analisi della produzione lirica da Petrarca in poi, si individuano ideali estetici già rispondenti a quelli della riforma arcadica.

A Giambattista Vico, autodidatta e figura sostanzialmente isolata nell’orizzonte culturale della sua epoca, si deve la vigorosa sintesi storica dei Principi di una scienza nuova d’intorno alla natura delle nazioni, alla cui stesura e rielaborazione si dedicò dal 1720 fino alla fine dei suoi giorni. Il pensatore napoletano individuava il solo ambito possibile di conoscenza nella Storia, “scienza nuova”, l’unica disciplina che, grazie all’esame del passato, permetta all’uomo di comprendere meglio il presente. Pressoché dimenticata per tutto il Settecento, l’opera fu riscoperta solo dal Romanticismo, alla cui sensibilità maggiormente si avvicinava per l’ardita commistione, anche stilistica, di razionalità e fantasia.