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La musica esprimeva un modo di vivere, i testi erano un segno di protesta e valvola di scarico per il malessere individuale, i cantautori raccontavano la propria rabbia e i propri amori, le delusioni e il disagio della propria generazione. Gli artisti non cantavano canzoni scritte per vincere festival e canzonissime, né per primeggiare nelle classifiche, ma per comunicare e creare aggregazione. I musicisti di cui parlo salivano sul palco con gli stessi vestiti che indossavano tutti i giorni, non con gli smoking e i lustrini della musica leggera o della televisione. […]
Oggi far capire a un giovanissimo cosa c’entrasse la musica con la politica e col sociale è certamente più difficile che in quei giorni. Ma non poi così tanto… Quanta differenza c’è oggi, per esempio, tra discoteca e rockoteca, tra balera o sala da ballo e pub, locale di tendenza, centro sociale? Domanda complicata e suscitatrice di contraddizioni…
Nella discoteca si ascolta dance music, musica col martellone [Parola del gergo giovanile che indica una musica con un ritmo molto forte e sempre uguale] che batte e ribatte per tutta la notte, fra capelli impomatati [In questo contesto ha significato di ‘capelli con il gel’] o rasati, abiti fighetti [Parola del gergo giovanile che indica ‘alla moda’], cubiste [Parola del gergo giovanile che indica una ragazza che balla in discoteca]; girano troppo spesso cocktail estremi di superalcolici e pasticche di tutti i tipi, ecstasy, anfetamine pesanti, a volte coca [Cocaina] e crack, sesso facile e ostentato ed estremo e talvolta tragicamente violento, in branco. Nelle rockoteche invece solitamente si sceglie di andare perché ci suona il tale gruppo, si ascolta reggae o hip hop, si rappa, si poga, oppure si ascolta il cantautore di turno che canta i comuni problemi generazionali, si discute, si partecipa, si comunica, forse qualcuno spipacchia [Parola del gergo giovanile che indica ‘fumare marjuana’] un po’, certamente si beve birra, il sesso è libero perché è normale. Ci sono differenze, certo: ma quali, e quante? Vi suonano gruppi come gli Afterhouse, Marlene Kunz, i 99 Posse, i 24 Grana, i Modena City Ramblers, i Baustelle, e cantautori come Silvestri, Gazzè, Capossela, Consoli, o anche cose come l’etno di Capone, il folk di Bennato, il jazz di Daniele Sepe. MTV ritrasforma un po’ tutto in marmellata, ma sempre meglio di Sanremo e degli ospiti della TV del sabato sera.
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Gli artisti “impegnati” di ieri non suonavano soltanto, ma “militavano”. Per scelta esistenziale, ma soprattutto artistica, scrivevano, cantavano e suonavano canzoni e musiche che raccontavano quella nostra generazione post-sessantottina in movimento. Cantavano l’utopia, l’amore consapevole, la rivolta. E la facevano loro stessi, la rivolta, con la propria musica ribelle (Area, Finardi, PFM, Banco del Mutuo Soccorso, Napoli Centrale, Carnascialia, NCCP, Musicanova, Edoardo Bennato, Guccini, Rocchi, Pino Daniele, e poi poeti come Fabrizio de André, Francesco Guccini, Roberto Vecchioni….).
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