“Non fu la prima a tagliarsi i capelli (fu l’attrice Eva Lavallière), ma non è grave. L’idea dei bijoux - veri o falsi - per il giorno non era sua, era di Misia Sert, ma non è così importante. Persino la petite robe noire non è solo Chanel, è anche madame Vionnet”. Questa dichiarazione di Karl Lagerfeld, direttore artistico della maison Chanel dal 1982, mette in luce cosa significa essere la migliore icona del proprio stile: Gabrielle (Coco) Chanel seppe costruire una forte mitologia intorno alla sua persona e dare al suo lavoro statuto non di sarta, ma di creatrice di moda e non solo. Il mondo artistico e intellettuale parigino la lusingava, Picasso, Cocteau e Diaghilev, nel 1924 le affidarono i costumi de Le train bleu, balletto “à la mode” sulle vacanze marine per cui la giovane Coco aveva creato sobrie mise da spiaggia con l’amato jersey e in tricot dalle bande sui toni azzurrini, troppo poco spettacolari per lo spettatore di teatro, perfette per la vita quotidiana del villeggiante.
“Oltre al plus d’immagine, a lei dobbiamo “lo stile immortale della gonna in tweed, della maglia con il filo di perle, dell’abitino nero, del tailleur senza collo profilato in passamaneria, dei bottoni gioiello, delle mitiche omonime scarpe bicolori che lasciano il calcagno scoperto, delle borsette in nappa trapuntata con la catena sulla spalla e della bigiotteria”.
“Era una donna di gusto […]. Sì. Bisogna ammetterlo. Ma era una modiste. Vale a dire […] che si intendeva di cappellini” (Gnoli, 2012, pp.41-57). La vena polemica del commento di Madeleine Vionnet sulla più “introdotta” e seducente collega fa luce su due caratteri e due stili antagonisti. Dimessa e grassoccia “la sarta più importante del Ventesimo secolo”, secondo Diana Vreeland, asseriva di non amare la moda: “Nei fugaci capricci stagionali sta un elemento di superficialità , di instabilità che scandalizza il mio senso di bellezza”. Quando a Londra, giovanissima, fu colpita da Isadora Duncan danzante nei classici pepli, capì che lì si univa la strada verso la liberazione del corpo e la creazione della vera bellezza femminile. Fu Jacques Doucet, suo patron dal 1907, a darle carta bianca per liberare “il tessuto e la donna dalle costrizioni loro imposte” provando che “una stoffa che cade liberamente su un corpo è lo spettacolo armonioso per eccellenza”. Sovvertendo le regole sartoriali Mme Vionnet rinnovò la tecnica del taglio e dell’ornamento. La sua maison, aperta nel 1912, nel 1919 si arricchì della collaborazione di Thayat, conosciuto nel lungo soggiorno in Italia durante la guerra, che seppe magistralmente interpretare la “filosofia Vionnet” e darle un’immagine, iniziando dal celebre logo: un peplo greco inserito in una spartitura geometrica, sintesi di classicità e modernità . Quegli ingegnosi tagli “triangolati” stimolavano il suo animo futurista, che si irradiò nelle linee dinamiche dei figurini, dei tessuti disegnati per lei fino al ’25. E fu proprio nel ’25, all’Expo parigina, che i futuristi si resero conto quanto delle loro idee (che l’Italia bollò come rumorose bizzarrie), era stato ripreso e sfruttato dalle ricettive e accorte sartorie francesi, a cui niente sfuggiva dei fermenti culturali delle avanguardie che ruotavano nel magma cittadino: “Per la prima volta appaiono a Parigi pellicce colorate e mantelli futuristi […] i bottoni futuristi trovansi realizzati nello stand della Casa Bauer […] le borsette e anche le scarpe […] nello stand di Casa Brusk di Parigi”, come lamentarono Balla e Jannelli in un’intervista sull’”Impero”.
“La moda femminile è stata sempre più o meno futurista. Moda equivalente femminile del Futurismo. Velocità , novità , coraggio della creazione”, si leggeva nel Manifesto della moda femminile futurista, elaborato da Volt (Vincenzo Fani) nel 1920. Le tre grandi protagoniste della moda internazionale del nuovo secolo, Chanel, Vionnet, Schiapparelli, interpretarono “a regola d’arte” tutto il potenziale della donna nuova esaltata nelle sue mille sfaccettature: sportiva, seducente, ironica, mutevole ... sempre dinamica e sorprendente protagonista di stile.