2. L’Umanesimo e il Quattrocento

Letteratura e teatro
Leonardo da Vinci, "Uomo vitruviano", 1490 circa

Nel Quattrocento, in Italia, si assiste alla formazione di alcuni rilevanti stati regionali (Genova, Firenze, Milano, Venezia), accanto ai quali si distribuiscono una miriade di centri signorili minori; in questa realtà policentrica la Corte si afferma come il luogo principale dell’organizzazione politica e dell’elaborazione culturale. Qui si intreccia, in una prospettiva essenzialmente laica, una complessa rete di rapporti intellettuali le cui molteplici espressioni filosofiche, letterarie e artistiche si coagularono dando vita al fenomeno noto come Umanesimo.

 

Modello esemplare delle vicende storico-politiche e trasformazioni socio-culturali legate alle città-stato italiane è senza dubbio ancora una volta Firenze. Sotto il potere dei Medici infatti, dapprima con Cosimo il Vecchio e, dopo la sua morte (1464), col nipote Lorenzo, si realizzò progressivamente una forte concentrazione del potere, una vera e propria Signoria che, grazie soprattutto alle doti personali del Magnifico, assicurò una felice stagione di equilibrio politico e di sviluppo culturale.

 

I primi umanisti fiorentini, mossi da un rinnovato interesse per l’uomo come individuo, si dedicarono agli studia humanitatis, secondo l’espressione di Cicerone, e alla riscoperta degli autori classici, greci e latini, riletti anche in un’ottica di impegno politico e morale: è l’umanesimo civile, ad esempio, di Coluccio Salutati, Leonardo Bruni, Poggio Bracciolini, tutti e tre, non a caso, cancellieri della Repubblica fiorentina. Grazie alla presenza in Italia di intellettuali bizantini fuggiti da Costantinopoli assediata e poi conquistata dagli Ottomani (1453), fu possibile una maggiore conoscenza delle opere greche, anche attraverso nuove traduzioni, opera anche di intellettuali italiani dedicatisi all’apprendimento e all’approfondimento delle lingue classiche. Si ricorda, per esempio, l’impresa della traduzione integrale dei Dialoghi di Platone ad opera di Marsilio Ficino, ma anche il recupero delle opere scientifiche, come i trattati di Euclide.

 

Lo studio dei classici, assunti anche come modelli di stile, passava anche attraverso il loro “restauro”, richiedeva cioè uno scrupoloso lavoro filologico, teso cioè a restituirne la veste testuale più vicina a quella originaria attraverso l’individuazione degli errori e il raffronto tra i diversi manoscritti di una stessa opera. L’appassionata ricerca di codici antichi portò anche alla riscoperta di nuove opere, tra le quali il De rerum natura di Lucrezio, l’Institutio oratoria di Quintiliano e molte orazioni di Cicerone, che erano ritenute disperse. Nascevano così ragionate biblioteche di privati studiosi e ricche raccolte promosse dai principi mecenati: a questo secolo risalgono, ad esempio, i nuclei fondamentali della biblioteca Laurenziana di Firenze, della Vaticana, e della Marciana di Venezia, ancor oggi fondamentali luoghi di conservazione di testi antichi.