Dopo la canzone, è il cinema il mezzo di comunicazione di massa di cui l'Italia diventò paese esportatore. Dapprima con il cinema muto, in particolare con le grandi produzioni che nacquero a Torino, come Cabiria (1914) di Giovanni Pastrone, lanciato negli Stati Uniti come “Gabriele d'Annunzio's Cabiria”, per la collaborazione del famoso poeta (divo tra i divi) alle didascalie, e alla scelta dei nomi di alcuni personaggi.
Il sonoro arrivò sul finire degli anni Venti; e il regime fascista, attento al mezzo fin dalle sue origini, puntò a farne strumento insieme di addottrinamento e di intrattenimento: nell'arco di pochi anni nacquero l'Istituto LUCE responsabile di cinegiornali e documentari, la Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia (1932), il Centro Sperimentale di Cinematografia (1935), Cinecittà (1937). A differenza di altri regimi totalitari, che concentravano gli sforzi produttivi sui film a maggior contenuto propagandistico, il fascismo scelse di affiancare alle pellicole a contenuto direttamente o indirettamente politico una vasta produzione a carattere popolare, che dava ampio spazio al connubio cinema-canzone. Prima della televisione e accanto alla radio il cinema fu uno dei veicoli di diffusione di massa della lingua italiana.
Nel dopoguerra nacque un cinema di ricerca che venne riconosciuto come uno dei più avanzati a livello mondiale, dal “neorealismo” agli anni Settanta; ma non va dimenticata la vasta produzione popolare vicina al fotoromanzo che ebbe larga diffusione anche in altri paesi dell'Europa meridionale.
Con lo sviluppo della televisione molti si attendevano un abbandono delle sale cinematografiche da parte della gran parte del pubblico: cosa che sarebbe accaduta però in modo molto limitato e graduale nei primi due decenni di TV, per diventare un fenomeno massiccio solo con la fine del monopolio radiotelevisivo. Successivamente le grandi emittenti, la RAI e la Fininvest, poi Mediaset, avrebbero assunto un ruolo dominante anche nel cinema “di sala”.