Nella moda, mai niente viene abolito una volta per tutte: tutto si ripresenta, con varianti. Ciò è tanto più vero nell’Ottocento quando, al definitivo tramonto del Neoclassico e del suo epigono, lo stile Impero, si avvicendarono un revival dietro l’altro. Siamo intorno al 1830, che vede fronteggiarsi i vari spiriti della Restaurazione. Il revival medievale, portato dalla grande ondata romantica, indusse ad adottare lunghe gonne con strascico e corsetti dalle maniche a sbuffo, fodere di pelliccia e berretti di velluto ornati di piume: ornamenti in verità partoriti da un’idea, da quella “fantasia” sul medioevo come testimoniano la grande “pittura di storia” come quella di Francesco Hayez o i movimenti come il Preraffaellismo, dove si mischiavano età e territori. Sta di fatto che la moda del revival medievale interessò in Italia molta parte della produzione culturale e del vivere sociale. Nella moda il fenomeno, meno diffuso ed evidente rispetto all’architettura, si manifestò dapprima nella forma delle maniche, grandi e imbottite dette à gigot (eredi più del tardo-rinascimento che del medioevo), poi con le gonne, sempre più ampie, fino al ripristino di una sottostruttura rigida, mutuata da verdugale e guardinfante: tant’è che l’immaginario collettivo, quando pensa alla donna ottocentesca, la vede in crinolina.
In uso all’incirca dal 1840, la crinolina era una sottogonna fatta di crini di cavallo intessuti con lino o seta, ammorbiditi ed impermeabili all’acqua che non si sgualciva o deformava: il favore che subito incontrò rese ricco M. Oudinot, il suo inventore! A metà Ottocento si conoscevano molti modelli di crinoline, che di fatto dal 1856 erano diventate vere gabbie (ottenute con cerchi di filo metallico), tesi a creare un effetto architettonico sempre più voluminoso che raggiunse la massima ampiezza nel 1866. La donna, collocata al centro di pagoda diveniva sempre più “irraggiungibile”, quanto facile preda dei tanti disegnatori satirici. Nonostante, il successo riscosso, in contesti aristocratici quanto in ambienti borghesi, fu incontenibile.
“La parte inferiore del vestito spesso era costituita da un insieme di nove o dieci strati fra gonna e sottogonne realizzate in diversi materiali. Le varie sottogonne non erano vendute singolarmente ma a fasci, anche di dodici l’uno. Era pure molto apprezzato il fruscio determinato dal contatto fra le sottogonne e per aumentarne l’effetto sonoro in qualche caso non si esitava a inserire fra una gonna e l’altra qualche foglio del «Daily News», o meglio ancora del «Times», come si legge in uno dei libri di memorie di Molly Hughes” (M.G.Muzzarelli, Breve storia della moda in Italia).
Per abbellire una tale superficie di tessuto si faceva ricorso alle più svariate guarnizioni di nastri, trine, gale, rouches, persino frange e pon-pon, senza limiti alla fantasia, tanto che nei casi più maldestri di “arrampicamento sociale” si poteva essere confusi con il sofà ! Quanto più la crinolina era ampia ed elaborata, tanto più i movimenti erano impacciati e inadatti ai lavori manuali, facendo la spia all’effettivo livello di privilegio sociale della dama: anche se le evoluzioni produttive l’avevano resa, oltre che leggera e maneggevole, anche a basso prezzo, con la crinolina indosso non ci si poteva muovere nelle case modeste senza provocare danni.
Se la storia della moda vede impalmare l’inglese/francese Worth come demiurgo della crinolina; la leggenda popolare vede invece fronteggiarsi Italia e Francia attraverso due forti caratteri di donne, l’imperatrice Eugenia, simbolo stesso dell’eleganza e la “cortigiana” contessa di Castiglione, antesignana della femme fatale. Si narra che fu proprio Eugenia, prima fautrice dell’”attrezzo”, a volersene liberare nel momento culminante della gara a rialzo con la rivale, in cui la contessa si presentò con una crinolina esageratamente larga: ritrovandosi con una quantità di tessuto fra i piedi, l’imperatrice se la raccolse sul dietro a modo di fiocco, determinando l’avvento della tournure e quella tipica forma a coulinson che ha segnato la linea femminile dagli anni ’70 del XIX secolo fino alla “riforma” del Novecento.