Nel quadro letterario tra Sette e Ottocento appaiono ancora dominanti i generi e le forme del classicismo formale e, sul piano linguistico, l’osservanza – più o meno rigida – del “purismo” (Basilio Puoti, Antonio Cesari, Pietro Giordani). A partire dal secondo Settecento, però, l’influenza di opere di autori stranieri, anche tradotte in italiano (il romanzo sentimentale I dolori del giovane Werther del tedesco Goethe, il dramma di Friedrich Maximilian Klinger Sturm und Drang – da cui l’omonimo movimento dell’individualismo titanico –, i Canti di Ossian dello scozzere James Macpherson, tradotti da Melchiorre Cesarotti e la poesia “cimiteriale” inglese) favorì lo sviluppo di nuove forme di sensibilità e di nuove forme espressive che giungeranno a maturazione, con l’inizio dell’Ottocento, in quella che si configurerà come “letteratura romantica”. Tuttavia, distinguendosi da quello europeo – “irrazionale”, soggettivistico, esotico, primitivo, inquieto, “nero” –, il Romanticismo italiano si caratterizza piuttosto come un movimento positivo, rivitalizzato dall’impegno civile, nel quale agiscono con forza soprattutto gli ideali patriottici. Il Romanticismo si configura come un momento di crescita culturale che coinvolge ampi settori della società , fino ad includere il popolo tutto, inserito in una idea di società allargata e progredita. Le tematiche del Romanticismo coincidevano sostanzialmente con i valori del Risorgimento.
Il panorama letterario fu rinnovato ad opera di tre grandi scrittori, Ugo Foscolo, Giacomo Leopardi e Alessandro Manzoni, che proposero forme e linguaggi radicalmente differenti.
Accanto a loro spiccano comunque alcuni felici episodi “minori” della produzione poetica: la poesia satirica del toscano Giuseppe Giusti, quella soffertamente religiosa di Niccolò Tommaseo e quella dialettale del milanese Carlo Porta e del romano Giuseppe Gioachino Belli. In netta opposizione alle convenzioni si muoveranno più tardi, intorno agli anni ’60-’70, i poeti della Scapigliatura, “etichetta” proposta per la prima volta da Cletto Arrighi (pseudonimo dello scrittore Carlo Righetti) nel titolo di un suo romanzo (1862) per descrivere un gruppo di ribelli alla loro classe di provenienza che vivevano disordinatamente e in modo eccentrico, e assunta quindi come definizione dagli stessi scrittori e artisti del movimento.