Figli delle utopie socialiste ottocentesche, i movimenti di stampo neo-medievalista come l’Arts and Crafts Movement di William Morris, seppure commercialmente perdenti perché elitari, segnalano un’emergenza sociale e culturale di portata rivoluzionaria (irripetuta fino ai nostri anni '60), che hanno inciso profondamente nell’evoluzione del “costume sociale”. Pur con le dovute differenze ideologiche e operative, si possono citare svariati movimenti di segno libertario che unirono il vecchio e il “nuovo mondo”: le suffragette e la danza libera, le comunità ideali, (dal falansterio di Fourier al Monte Verità di Ascona), il movimento naturista e salutista, l’abbigliamento riformato (rational dress reform), la rivoluzione teatrale di Appia e Craig, la Wiener Werkstatte fino alla Bauhaus di Weimar. Un clima di liberazione generale, ben rappresentato dalle linee fitomorfe, fluide e verticaleggianti del Liberty, verso il raggiungimento dell’“armonia universale”, o perlomeno di quella “bellezza universale” di cui fu cantore Gabriele d’Annunzio. E non sembri un caso che un grande poeta sia stato uno dei maggiori artefici della “costruzione dell’immagine” in senso moderno e un paladino del “marchio di fabbrica” progenitore del moderno brand. E una “fabbrica” mirabile fu infatti quella congegnata dall’amico e compagno di ricerche estetiche “applicate” Mariano Fortuny y Madrazo.
L’arte cresce in uno strano flusso di scambi fra cultura e commercio, in perpetuo moto di dare-avere: ed è di questo crogiolo che la moda si sazia. In quale ambito collocare una figura come Fortuny? Nato nel 1871 all’ombra dell’Alhambra di Granada, capolavoro del rinascimento ispano-islamico, svezzato nella evoluta Parigi, praticamente veneziano dal 1889. Pittore, scenografo, stilista, inventore di tecniche applicate alla creazione: brevetta l’omonima cupola (1904) adottata da Appia e innova l’illuminotecnica teatrale; per l’arredo mette a punto le lampade in seta decorata, ancora in commercio; sperimenta sistemi di stampa su tessuto e il suo originale plissè su seta con cui confeziona i famosi pepli di ispirazione classica, brevettati anch’essi, nel 1909. I suoi modelli, i Delphos tanto amati da Isadora Duncan come da Peggy Guggenheim, le tuniche, i bornous, i kaftan in seta o velluto stampati a grandi motivi rinascimentali e orientaleggianti presenti anche nel guardaroba della Duse, ispirati alle linee essenziali delle etnie arabe e orientali, come i kimono, si nutrirono della corrente liberatoria del corpo che rifiuta il giogo del busto e dei lacci e cerca la fluidità e l’ariosità del movimento fra stile Liberty e Riforma. Certo i clienti del laboratorio Fortuny erano la crema economico-intellettuale del tempo, trainati dal gusto delle dive internazionali, ma allora era questa élite che vestiva i cambiamenti più radicali e indirizzava il futuro, in attesa che il mercato divenisse così ampio da suggerire ai più grandi stilisti di prendere ispirazione “dalla strada”. Ma per questo dovremo aspettare l’ultimo quarto del secolo.