"Ad Angelo Mai"

Letteratura e teatro

Nel 1820 il cardinale Angelo Mai scopre nella biblioteca Vaticana di cui è direttore alcuni frammenti del terzo, quarto e quinto libro del De Re Pubblica di Cicerone[1]; e la parte finale del sesto. In occasione della scoperta Leopardi, tra il gennaio e il febbraio del 1820, scrive questa canzone dedicata ad Angelo Mai (Italo ardito... Italo egregio... Bennato ingegno). Il poeta ripercorre la nascita e l’evoluzione della poesia italiana da Dante fino ad Alfieri e nello stesso tempo riflette sulla società in cui vive (questo secol morto... questo secol di fango) avvolta in una noia tetra e pesante, simile a una fitta nebbia (incombe / Tanta nebbia di tedio), così lontana dal mondo degli antichi, regno dell’immaginazione (caro immaginar), della gloria (atti illustri) e della poesia. Così inizia la canzone:

 

Italo ardito, a che giammai non posi

Di svegliar dalle tombe

I nostri padri? ed a parlar gli meni

A questo secol morto, al quale incombe

Tanta nebbia di tedio?...

 



[1]Il De Re Publica, scritto da Cicerone fra il 55 e il 51 avanti Cristo, è un trattato di filosofia politica in sei libri che ha come modello La Repubblica di Platone e si svolge in forma di dialogo. Dei sei libri che compongono il trattato sono giunti completi fino a noi i primi due. Le parti del De Re Publica scoperte Angelo Mai erano contenute in un manoscritto che riportava il commento di Sant'Agostino ai salmi di David 119-140.

 

 

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