"Arcadia", il "dilettevole piano": la descrizione

Letteratura e teatro

L’Arcadia è una regione montuosa del Peloponneso che prende il nome da Arcade (in greco Αρκάς, orso), il giovane cacciatore figlio di Zeus e Callisto, nato in quei luoghi. Nell’antichità i suoi abitanti si dedicavano soprattutto alla pastorizia, perciò veniva identificata con la terra dove vivevano le Ninfe e Pan, il dio dei pastori. Il poeta greco Teocrito e Virgilio nelle loro opere trasfigurano questa regione in un luogo ideale dove regnano la pace e la poesia. La visione leggendaria dell’Arcadia compare nuovamente nella cultura  italiana quando Sannazaro dedica a questa terra il suo capolavoro letterario.

 

Nella Prima Prosa Sannazaro descrive l’Arcadia: è come un luogo di straordinaria (eccessiva) bellezza, dove la natura regna sovrana. Sulla cima del monte Partenio si stende una pianura piccola ma molto graziosa (dilettevole) ricca di alberi così splendidi e particolari da sembrare frutto di un artificio: abeti dritti e privi di nodosità (senza nodo veruno), querce, frassini, graziosissimi (amenissimo) platani, tigli sempre integri (tiglia incorruttibile) fragili tamerici (tamarisco) e il faggio, caro a Ercole e alle infelici figlie della ninfa Climene. E in mezzo a tutti si alza verso il cielo un dritto cipresso, simile a una roccia alta e appuntita (alte mete), così bello che non solo Ciparisso ma perfino Apollo gradirebbe assumere le sue sembianze (essere tranfigurato):

 

Giace nella sommità di Partenio, non umile monte de la pastorale Arcadia, un dilettevole piano, di ampiezza non molto spazioso però che il sito del luogo nol consente, ma di minuta e verdissima erbetta sì ripieno, che se le lascive pecorelle con gli avidi morsi non vi pascesseno, vi si potrebbe di ogni tempo ritrovare verdura. Ove, se io non mi inganno, son forse dodici o quindici alberi, di tanto strana et eccessiva bellezza, che chiunque li vedesse, giudicarebbe che la maestra natura vi si fusse con sommo diletto studiata in formarli. Li quali alquanto distanti, et in ordine non artificioso disposti, con la loro rarità la naturale bellezza del luogo oltra misura annobiliscono. Quivi senza nodo veruno si vede il drittissimo abete, nato a sustinere i pericoli del mare; e con più aperti rami la robusta quercia e l'alto frassino e lo amenissimo platano vi si distendono, con le loro ombre non picciola parte del bello e copioso prato occupando. Et èvi con più breve fronda l'albero, di che Ercule coronar si solea, nel cui pedale le misere figliuole di Climene furono trasformate. Et in un de' lati si scerne il noderoso castagno, il fronzuto bosso e con puntate foglie lo eccelso pino carico di durissimi frutti; ne l'altro lo ombroso faggio, la incorruttibile tiglia e 'l fragile tamarisco, insieme con la orientale palma, dolce et onorato premio de' vincitori. Ma fra tutti nel mezzo presso un chiaro fonte sorge verso il cielo un dritto cipresso, veracissimo imitatore de le alte mete, nel quale non che Ciparisso, ma, se dir conviensi, esso Apollo non si sdegnarebbe essere transfigurato […].

 

[tratto da: Jacopo Sannazaro, Arcadia, Introduzione e commento di Carlo Vecce, Roma, Carocci, 2013]

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