Da "Terra Vergine": Dalfino

    Letteratura e teatro

    La novella fa parte di Terra vergine, la prima raccolta in prosa di D’Annunzio. Protagonista della storia è un giovane pescatore abruzzese soprannominato Dalfino (delfino) per l’aspetto fisico (schiena curvata, grossa testa), la forza (vigore sovrumano) e le movenze (far guizzi, salti e tonfi da raccapricciare) che ricordano quelle possenti e scattante del pesce. Dalfino è orfano di madre dalla nascita (l’aveva ammazzata lui, nascendo, in una notte d’autunno) e ha perso il padre durante una tempesta (il babbo se l’era mangiato il mare).

     

    Il pescatore è innamorato di Zara, una ragazza alta e snella (dritta) come l’albero che sta alla prua delle navi (trinchetto), bella e sensuale come una creatura selvaggia (flessuosità da pantera, denti viperini). Dalfino e Zara si conoscono fin da bambini e si vogliono bene da sempre: la ragazza lo aspetta tutte le sere quando torna dalla pesca e ricambia i suoi sguardi appassionati (stavano a guardarsi dentro gli occhi lungamente, come ammaliati) ma lui sembra non accorgersi di quell’amore. Così, quando un giovane finanziere si mette a corteggiare Zara facendo sfoggio della sua divisa (arricciandosi i piccoli baffi biondi e mettendo il pugno sull’elsa della daga), Dalfino, sconvolto dalla gelosia, compie un gesto estremo e disperato.

     

    Come tutte le novelle di Terra vergine, anche Dalfino si svolge in Abruzzo, terra natale di D’Annunzio; due anni prima (1882) era uscita Vita dei campi di Verga che aveva per protagonisti i paesaggi e gli abitanti della sua Sicilia. D’Annunzio prende a modello Verga per la scelta di ambientare le novelle nel proprio luogo d’origine mentre se ne distanzia per le tecniche narrative usate.

     

    Dalfino ha alcuni tratti in comune con Rosso Malpelo, il protagonista di una novella di Verga. Come Malpelo, Dalfino deve il suo soprannome ad alcune caratteristiche fisiche e conserva un forte legame con il padre morto: è attratto dall’immensa distesa d’acqua che racchiude il suo corpo (Lui è là giù a dormire… e ci vo’ andare anch’io. M’aspetta, lo so che m’aspetta ), parla col mare come un giorno parlava al padre, alternando a una grande dolcezza (impeti d’amore, tenerezza infantile), esplosioni di rabbia (canzoni selvagge gridate a squarciagola) e momenti di tristezza (lunghe cantilene piene di malinconia).

     

    Ma Dalfino e il mondo dei pescatori descritto da D’Annunzio non hanno la tragicità e lo spessore dei personaggi di Verga: sono carichi di sensualità, di passioni elementari, violente e incontrollabili che affascinano l’autore. A differenza di Malpelo, Dalfino è bellissimo, forte, abbronzato: anche gli occhiacci[1] con cui guarda il sole contribuiscono a sottolineare il suo fascino primitivo; e anche Zara è bella e carica di una sensualità quasi selvaggia (due labbra scarlatte, un petto che ficcava nel sangue la smania de’morsi e faceva increspar la pelle delle dita). Il paesaggio, come le persone, è carico di erotismo e passionalità: colori e suoni violenti (il libeccio urlava come cento lupi, il cielo a ponente sembrava sangue), odori inebrianti (l’odore del mare li ubriacava, il fiotto odorava più che mai). Come in tutte le opere di D’Annunzio, natura e uomo sono fusi insieme, sono l’uno lo specchio dell’altra.

     

    A differenza di Verga che utilizza modalità espressive proprie della lingua orale, D’Annunzio alterna espressioni popolari (la mamma anzi l’aveva ammazzata lui, O che ci hai negli occhi, Zarra, stasera) con metafore e similitudini eleganti e raffinate (Folate di gabbiani gittavan gridi che parevano scrosci di risa umane, radendo l’acqua col cinerino chiaro del loro volo). Ma soprattutto, a differenza dei veristi, l’autore interviene direttamente per commentare le azioni dei personaggi e spiegare i loro sentimenti (Nel cuore ci aveva la burrasca, povero Dalfino!...Era un misto di superstizione, d’odio, d’amore; l’onda paonazza l’attirava irresistibilmente, fatalmente, ma gli pareva che anche là sotto non avrebbe avuto pace senza la vendetta).



    [1] Anche gli occhi di Malpelo vengono definiti occhiacci.

     

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