24 aprile 1821: è la data che Manzoni annota nella prima pagina del suo romanzo, che non ha ancora un titolo. In due mesi compone i primi due capitoli e l'Introduzione; si interrompe per scrivere Il cinque maggio, quando giunge in Europa la notizia della morte di Napoleone, e per ultimare la stesura della tragedia Adelchi.
1822/1823 - Nel 1822 Manzoni riprende il lavoro con grande energia: in una lettera del 29 maggio[1] scrive all'amico Fauriel di essere enfoncé dans mon roman, “sprofondato nel mio romanzo”. A novembre ha già ultimato due volumi (tomi) che comprendono la storia di Gertrude e dell'Innominato; a settembre del 1823 l’opera è terminata. Il manoscritto in quattro volumi, che gli studiosi chiameranno “prima minuta”, consiste in una grande pila di fogli divisi in due colonne: Manzoni scrive sulla colonna di destra e lascia in bianco la sinistra, per le correzioni. Il romanzo non ha titolo; sarà il letterato e amico Ermes Visconti a nominarlo, in modo provvisorio, Fermo e Lucia. La vicenda è già quella dei Promessi sposi (i fidanzati perseguitati e costretti alla fuga, la peste, la carestia) ma il Fermo e Lucia ha caratteristiche proprie:
è scritto utilizzando una lingua in cui si alternano forme letterarie e dialettali, latinismi e prestiti da lingue straniere. Manzoni definirà questa lingua un composto indigesto di frasi un po' lombarde, un po' toscane, un po' francesi, un po' anche latine; di frasi che non appartengono a nessuna di queste categorie, ma sono cavate per analogia e per estensione o dall'una o dall'altra di esse[2], commentando amaramente: “Scrivo male, scrivo male a mio dispetto”;
sono presenti numerose e ampie digressioni di tipo letterario (come quella riguardo alle origini del rinnovamento culturale italiano nel Seicento) o storico, come quella relativa ai processi agli untori.
i personaggi sono privi di sfumature e incarnano rigidamente “il bene” e “il male”, come testimonia il grande spazio dato alle vicende dell'Innominato, che nella prima minuta ha il nome di Conte del Sagrato, dipinto come un vero e proprio eroe demoniaco[3], e di Gertrude, una figura femminile che prende ispirazione dal romanzo La religeuse[4] di Diderot.
1824 - Manzoni, indirizzato dai suggerimenti di Fauriel e Ermes Visconti, sottopone subito il Fermo e Lucia a un’attenta opera di revisione. Per correggere utilizza la colonna lasciata in bianco nel manoscritto ma i cambiamenti sono così ampi che, a partire dal capitolo IX, abbandona il testo di partenza e inizia scrivere su fogli nuovi. Nasce così la seconda minuta, anch’essa su doppie colonne e piena di varianti e correzioni, che viene affidata a un copista perché la riscriva in modo leggibile e sia quindi possibile prima sottoporla alla censura austriaca e poi darla alle stampe.
Anche in questa copia, detta copia della censura, Manzoni continua a scrivere annotazioni e modifiche.
1827 - Il romanzo, in tre volumi articolati in 38 capitoli, viene pubblicato a Milano dall’editore Ferrario con il titolo I promessi sposi. Storia milanese del secolo XVI scoperta e rifatta da Alessandro Manzoni. Il primo volume viene stampato alla fine del
1824, il secondo nel 1825, il terzo nel 1827, anno in cui il romanzo inizia a essere diffuso: per questo l'edizione viene detta Ventisettana. Le modifiche apportate hanno completamente trasformato il Fremo e Lucia per quanto riguarda la struttura, i contenuti e la lingua
La struttura e i contenuti
Vengono eliminate molte digressioni e quella riguardante i processi agli untori diventa un’appendice a sé stante che verrà pubblicata nel 1840 col titolo di Storia della colonna infame; altre digressioni invece vengono ampliate, come quella riguardante gli editti (le gride) del Seicento. Vengono tolte anche le osservazioni sulla questione della lingua contenute nelle due Introduzioni che aprivano e chiudevano il manoscritto, che Manzoni decide di trattare in altra sede.
Lo scrittore riduce anche l'estensione delle vicende di Gertrude e del Conte del Sagrato e le separa (nel Fermo e Lucia erano di seguito) inserendo le peripezie di Renzo; aggiunge descrizioni, come quella della vigna o della pioggia che purifica Milano dalla peste.
La vicenda risulta così articolata in quattro grandi blocchi narrativi: l'incontro di don Abbondio con i bravi e la fuga dal paese di Renzo e Lucia, capp. I-VIII; le disavventure di Renzo, capp. XI-XVII; le disavventure di Lucia, capp. XXI-XXVI; il ricongiungimento dei fidanzati e il lieto fine, capp. XXXIII-XXXVIII. I blocchi sono separati da vicende con cui hanno però fortissimi legami e rimandi: la storia Gertrude (fra il primo e il secondo blocco, capp. IX-X), la conversione dell’Innominato (fra il primo e il secondo, capp. XX-XXI), l'epidemia di peste (fra il terzo e il quarto, capp.XXVII-XXXII).
La lingua
Totalmente insoddisfatto della lingua usata nel Fermo e Lucia, Manzoni decide di sostituire al composto indigesto, frutto del tentativo di conciliare lingua letteraria e lingua d'uso, una lingua di grande tradizione culturale e letteraria, capace però di stabilire una buona comunicazione fra autore e lettori. Lo scrittore individua nel fiorentino la lingua che va cercando e, per impararne l'uso, legge testi di cronisti, novellieri, scienziati, memorialisti del Trecento e del Cinquecento, preferendoli alle opere di tradizione aulica, e consulta soprattutto il Vocabolario della Crusca, nell'edizione pubblicata a Verona nel 1806 da Antonio Cesari e il Vocabolario Milanese-Italiano di Francesco Cherubini (1814).
Nel 1827 Manzoni parte con la famiglia per Firenze, dove può finalmente sperimentare in modo diretto la lingua toscana, soprattutto attraverso le conversazioni con gli uomini di cultura conosciuti in quella città , come lo scrittore Gino Capponi, il poeta Giovan Battista Niccolini e Gaetano Cioni, uno dei fondatori del Gabinetto Vieusseux. Si accorge così che la lingua studiata sui testi letterari e sui vocabolari è fredda e libresca, molto diversa da quella vivace ed espressiva parlata dai fiorentini colti. Convinto che il fiorentino sia la lingua adatta al suo romanzo, Manzoni inizia una nuova revisione della Ventisettana.
Per dieci anni, come lui stesso afferma, lavora a risciacquare i panni in Arno e finalmente, fra il 1840 e il 1842, dà alle stampe l’edizione definitiva dei Promessi sposi, detta Quarantana.
Per realizzare un profitto senza doverlo spartire con editori e librai e per evitare ristampe abusive che avevano preso di mira la sua opera dopo la prima uscita nel 1827, una volta terminata la redazione definitiva nel 1839, decide di pubblicare in proprio il romanzo.
Sceglie un’edizione in dispense molto lussuosa, in modo che sia impossibile contraffarla e riprodurla: i Promessi sposi escono in 108 fascicoli illustrati e scritti in una lingua nuova, viva e vera, come lui stesso la definisce[5], degna di diventare un modello nazionale. La tiratura della Quarantana è di 10.000 copie ma ne venderà solo 4.600 a causa dei costi elevati, inadatti al mercato.
[1] Tutte le lettere, a cura di Cesare Arieti. Con un’aggiunta di lettere inedite o disperse a cura di Dante Isella, Milano, Adelphi, 1986
[2] Seconda Introduzione a Fermo e Lucia
[3] Il personaggio del Conte del Sagrato è ispirato a Bernardino Visconti, feudatario di Brignano Gerad’Adda, per molto tempo autore di imprese banditesche e poi dedito a una vita onesta e a opere di carità . Nel romanzo Manzoni racconta in modo dettagliato l'episodio da cui prende il nome al personaggio: l'assassinio da lui compiuto sul sagrato di una chiesa.
[4] Tratto da una vicenda realmente accaduta, narra la storia di Suzanne Simonin costretta a farsi monaca perché figlia illegittima di una giovane aristocratica.
[5] Appendice alla relazione Dell'unità della lingua e dei mezzi per diffonderla