"De sui ipsius et multorum ignorantia" (estratto)

Solo la cultura ci permette di conoscere chi siamo e di capire qual è il nostro destino; una cultura, però, che sappia parlare non solo alla mente  come accade nelle opere di Aristotele  ma anche al cuore.

 

Per molti la cultura è uno strumento di pazzia, per quasi tutti di superbia – ed è cosa rara – che sia capita in qualche anima buona e ben educata. Quel tale sa una quantità di cose sugli animali feroci, sugli uccelli, sui pesci: quanti peli ha il leone sulla testa, quante piume l'avvoltoio nella coda, con quante spire il polipo abbraccia il naufrago; come gli elefanti si accoppino volgendosi le terga e come la loro gravidanza duri due anni ... Tutte cose false in grandissima parte, come s'è visto in molti casi simili quando sono state alla portata di tutti nei nostri paesi […] Comunque, anche se fossero vere non servirebbero affatto a vivere felici. Di grazia, che può giovare conoscere belve, uccelli, pesci, serpenti, e ignorare ovvero non curarsi dell'uomo: ignorare lo scopo della nostra vita, donde veniamo, dove andiamo? ... Ascoltino, ripeto, tutti gli aristotelici... Ho letto, se non erro, tutte le opere morali d'Aristotele, certe altre le ho sentite esporre... Da quelle opere me ne tornai forse più dotto, ma non migliore... io so un po’ di più di quel che sapevo , ma l’animo è rimasto quello che era e la volontà è la medesima, e il medesimo sono io. In realtà, altro è sapere e altro è amare; altro è comprendere, altro è volere. Egli (Aristotele) insegna, non lo contesto, che cos’è la virtù; ma la sua lezione non possiede – o ne possiede pochissimi – quegli sproni, quei caldi appelli che spingono l’anima e laindiammano ad amare la virtù e ad aborrire il vizio.

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