Alfredo Schiaffini[1] afferma che la prosa di Boccaccio si ispira a quella degli autori latini (Ovidio, Cicerone ma soprattutto Livio, di cui ha tradotto la III e la IV Deca) e alle regole della retorica medievale.
La prosa di Boccaccio mutua dalla prosa latina:
· la collocazione del verbo a fine periodo, che nel Cinquecento sarà utilizzata dai suoi imitatori (es. qual fosse la cagione per che le cose che appresso si leggeranno avvenissero)
· l’uso di inversioni (es. se io potuto avessi al posto di se io avessi potuto) e disgiunzioni (es. io l’avrei volentier fatto al posto di io l’avrei fatto volentier)
· l’uso della proposizione infinitiva[2] modellata sulla costruzione latina (es. a’ savi mostrare doversi con pazienza passare)
· l’uso del participio e del gerundio al posto di una proposizione secondaria (es. aiutantemi la grazia divina; dormendo la donna)
· la ripetizione del che dopo una proposizione incidentale (es. non seppero sì segretamente fare, che una notte, andando Lisabetta là dove Lorenzo dormiva, che il maggior de’ fratelli se ne accorgesse)
· l’uso di coppie di sinonimi (es senza modo e senza misura) e dell’endiadi[3] (es. paure e immaginazioni)
La prosa di Boccaccio mutua dalla retorica medievale:
· l’uso di nomi ricalcati su etimologie greche e latine (es. Filostrato, Filomena, Dioneo)
· l’abitudine di iniziare storie e riflessioni con proverbi o massime ( es. Umana cosa è aver compassione degli afflitti)
· la chiusura del periodo con parole che formano versi endecasillabi, settenari etc (es. e fatte le sue nozze – settenario/ con lei più tempo lietamente visse – endecasillabo)
· la ripetizione di una o più parole all’inizio delle frasi in successione (anafora) (es. O quanti gran palagi, O quante memorabili schiatte, Quanti valorosi uomini)
[1] A. Schiaffini, Tradizione e poesia nella prosa d’arte italiana dalla latinità medievale a G. Boccaccio, Genova, Edizione degli Orfini, 1934. Alfredo Schiaffini (1895-1971) è stato filologo, linguista, Accademico della Crusca e Custode generale dell’Accademia dell’ Arcadia.
[2] Sono le proposizioni (oggettive, soggettive ed esplicative) che in latino hanno il soggetto in accusativo e il verbo all'infinito
[3] In greco significa una parola in due. In questa figura retorica si utilizzano due o più parole per esprimere un unico concetto.