Nell’aprile del 1877 Carducci si reca per la prima volta a Roma; da questa esperienza nascono le odi Nell’annuale della fondazione di Roma e Dinanzi alle terme di Caracalla, forse la più famosa tra le Odi barbare in cui il poeta esalta la civiltà e la grandezza dell’antica città , in stridente contrasto con le miserie del presente. Il metro utilizzato è la strofa saffica[1], che Carducci rende in italiano con tre versi di undici sillabe (endecasillabi) e con un verso di cinque sillabe (quinario):
Corron tra ’l Celio fósche e l’Aventino
le nubi: il vento dal pian tristo move
umido: in fondo stanno i monti albani
bianchi di neve.
L’ode inizia con la descrizione del triste paesaggio invernale, abitato da rare presenze umane, che fa da sfondo alle Terme e crea un inquietante contrasto con le gigantesche mura, simbolo di una grandezza straordinaria ormai trascorsa . È una giornata fredda e grigia: le nubi, spinte dal vento, corrono fra i colli del Celio e dell’Aventino, dove sorgono le terme di Caracalla[2]; ai loro piedi si stende la campagna romana infestata dalla malaria (pian tristo), sullo sfondo, i monti albani coperti di neve. Una turista inglese copre con un velo verde i capelli grigi raccolti in trecce (cineree trecce) e cerca nella sua guida (libro) notizie su queste grandi mura minacciose (minacce di romane mura). Nell’aria volteggiano i corvi, emettendo suoni rauchi e brevi (crocidanti): un tempo gli antichi interpretavano il futuro osservando il loro volo (augure stormo), ora questi uccelli neri sembrano chiedere con rabbia alle mura, simili a vecchi giganti, perché continuino a sfidare il cielo. Dalla basilica di San Giovanni in Laterano giunge un funebre (grave) suono di campane. È funebre anche il fischiare (grave fischiando) del pastore che, avvolto nel suo mantello, passa e va oltre, senza guardarsi intorno. A rompere il silenzio e la solitudine si alza d’improvviso, forte e decisa, la voce del poeta: invoca la dea Febbre, a cui gli antichi romani rivolgevano preghiere perché allontanasse la malaria, affinché ora allontani da questo luogo sacro (religioso orror) gli uomini di oggi (novelli) presi solo dai loro interessi meschini (picciole cose). Queste persone grette e indifferenti a ogni grandezza non sono degni di stare nel luogo che custodisce le memorie dell’ antica Roma, simile a una dea addormentata, mollemente distesa sui colli del Palatino, del Celio e dell’Aventino, fino alla via Appia (la dea/ Roma qui dorme).
[1] Prede il nome dalla poetessa greca Saffo (VII secolo- VI secolo a.C) che la utilizzò per comporre i suoi versi. E’ composta da tre endecasillabi saffici e un adonio.
[2] Le terme furono fatte costruire nel III secolo d.C dall’imperatore romano Marco Aurelio Antonino detto Caracalla. Caracalla è una voce del latino tardo che significa “di origine gallica”. L’imperatore veniva chiamato con questo appellativo perché amava indossare una veste che dal collo scendeva fino ai talloni usata in Gallia