Gadda prende a scrivere il suo diario nel 1915 mentre si trova al fronte e lo continua fino al 1919.
I passi che riportiamo di seguito sono stati scritti in momenti diversi: il primo al fronte, il secondo durante la prigionia, il terzo a casa dopo la fine della guerra. Nelle parole di Gadda è evidente il dolore per le illusioni perdute e per la sua condizione personale, ma anche la consapevolezza del Pasticciaccio, del caos politico e morale in cui versa l’Italia, un gomitolo inestricabile di ambiguità , falsità e corruzione che diventa simbolo della triste realtà della sua vita e del mondo. Così iniziano le sue annotazioni (note):
Edolo, 24 agosto 1915. – Le note che prendo a redigere sono stese addirittura in buona copia, come vien viene, con quei mezzi lessigrafici e grammaticali e stilistici che mi avanzeranno dopo la sveglia antelucana, le istruzioni, le marce, i pasti copiosi, il vino e il caffè.
In questo passo Gadda descrive le pessime condizioni dei soldati al fronte, le orribili sofferenze con cui viene ricompensata la loro generosità (abnegazione), il loro amore per la patria.
I nostri uomini sono calzati in modo da far pietà : scarpe di cuoio scadente e troppo fresco per l’uso, cucito con filo leggero da abiti anzi che con spago, a macchina anzi che a mano. Dopo due o tre giorni di uso si aprono, si spaccano, si scuciono, i fogli delle suole si distaccano nell’umidità l’uno dall’altro. Un mese di servizio le mette fuori d’uso. Questo fatto ridonda a totale danno oltre che dell’economia dell’erario, del morale delle truppe costrette alla vergogna di questa lacerazione, e, in guerra, alle orribili sofferenze del gelo! Quanta abnegazione è in questi uomini così sacrificati a 38 anni, e così trattati! Come scuso, io, i loro brontolamenti, la loro poca disciplina! Essi portano il vero peso morale della guerra, peso morale, finanziario, corporale, e sono i peggio trattati […]
Edolo, 19 settembre 1915
Si scaglia contro l’inettitudine dei politici e dei generali che vanno a vedere le trincee, non certo a vivervi e a combattere. Il re è uno scemo balbuziente, duchi e deputati sono tronfi loro potere (mucche gravide, acquosi pancioni, buoi grassi), incapaci (asini). Con rabbia enumera ciò che i potenti sanno fare: frequentare alberghi lussuosi (pezzi da grand hotel) e località termali (bagni), fumare sigari pregiati (avana) e ciò che invece sono incapaci di fare: pensare, creare, costruire, osservare, comprendere…
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Chissà quelle mucche gravide, quegli acquosi pancioni di ministri e di senatori e di direttori e di generaloni: chissà come crederanno di aver provveduto alle sorti del paese con i loro discorsi, visite al fronte, interviste, eccetera. Ma guardino, ma vedano, ma pensino come è calzato il 5° Alpini! Ma Salandra, ma quello scemo balbuziente d’un re, ma quei duchi e quei deputati che vanno “a veder le trincee”, domandino conto a noi, a me, del come sono calzati i miei uomini. […] Asini, asini, buoi grassi, pezzi da grand hôtel, avana, bagni; ma non guerrieri, non pensatori, non ideatori, non costruttori; incapaci di osservazione e d’analisi, ignoranti di cose psicologiche, inabili alla sintesi; scrivono nei loro manuali che il morale delle truppe è la prima cosa, e poi dimenticano le proprie conclusioni.
Edolo, 20 settembre 1915
Di fronte a questo scempio e alle cattive notizie che giungono dal fronte (cattive notizie russe e balcaniche) Gadda vede venir meno le sue speranze, la nostalgia della famiglia lo tormenta e sente affievolirsi sempre di più la sua già debole capacità di riuscire (riescirei) a resistere ai disagi:
È stata questa una giornata tragica: una di quelle giornate in cui mi domando perché vivo, e se non sarebbe meglio farmi scoppiar la testa con un colpo di revolver: subito, naturalmente, il pensiero di mia madre insorge nella mia anima, il pensiero dei miei amati fratelli, e comincia una vicenda di torture, di immaginazioni dolorose, di pensieri tetri. La mia patria mi è lontana; la vita pantanosa della caserma, e di una caserma simile, annega in me le gioie e gli entusiasmi che mi potrebbero venire dalla contemplazione della grande storia presente, mi fa scordare le speranze, mi prostra, mi attutisce il desiderio di sagrificio; le cattive notizie russe e balcaniche mi abbattono, e io chiudo in me i timori per non far opera di avvilimento. Anche la considerazione delle mie scarse forze fisiche mi umilia, facendomi pensare che forse non riescirei a resistere ai disagi.
Nel 1918, quando è internato nel campo di prigionia in Germania, mentre ascolta la messa riflette amaramente sulla sua vita passata e sul cupo futuro che lo attende:
Non ho avuto amore, né niente. L'intelligenza mi vale soltanto per considerare e soffrire; gli slanci del sogno, l'amore della patria e del rischio, la passione della guerra mi hanno condotto a una sofferenza mostruosa, a una difformità spirituale che non ha, non può avere riscontri. Sentii in quel momento, con l'intensità d'un asceta, il vuoto, l'orribile vuoto della mia vita, la sua brevità , la sua fine. Che cosa avrò fatto per gli uomini, che cosa per il mio paese? Niente, niente. Morirò come un cane, fra dieci, fra trent'anni; senza famiglia, senza neppur aver goduto nel doloroso cammino di aver a lato mia madre, i miei cari fratelli. E nessun al di là mi aspetta poiché l'intima religiosità de' miei sentimenti non ha riscontro nel pensiero e nella ragione.
Nel 1919, terminata la prigionia, Gadda torna in Brianza, a Longone, nella casa di famiglia. Il ritorno alla vita civile coincide con la dolorosa presa di coscienza che il suo malessere crescente, fisico e morale, è destinato ad accompagnarlo per sempre. Sentirsi senza più voglia di nulla, come morto, questo gli ha riservato il maledetto destino. Non diventerà mai quello che voleva essere, un uomo nobile e puro, grande nell’animo e nelle azioni; sarà invece un uomo come tanti altri (comune), un italiano dotato tutti i difetti (volgare, tozzo, bestiale…) che lo rendono adatto all’ambiente e gli permettono di vivere in una società che gli somiglia. A renderlo così, conclude Gadda, è stata innanzitutto la sua disposizione naturale (animo), la fragilità psicologica che lo ha reso facile preda del male oscuro; ma anche gli eventi della guerra, le vicende politiche di quegli anni, la realtà priva di ogni grandezza, infima e ripugnante (merdosa) che caratterizza la società in cui vive e il mondo in genere:
Tornai a Longone come morto: senza più voglia di nulla. Con la Mamma fui cattivo e prevedo che sarò sempre, perché troppe divergenze abbiamo su tutto: e perché vedo ch'ella non ama Clara, il che, del resto, è cosa vecchia. Anche della famiglia che un tempo adoravo sono stufo: sento che i più cari legami si dissolvono, che il maledetto destino vuol divellermi dalle pure origini della mia anima e privarmi delle mie forze più pure, per fare di me un uomo comune, volgare, tozzo, bestiale, borghese, traditore di sé stesso, italiano, "adatto all'ambiente". Tutto ha congiurato contro la mia grandezza, e prima d'ogni cosa il mio animo, debole, docile, facile ad esser preso dalle ragioni altrui; poiché in tutti, anche nei miserabili, v'è un po' di ragione, o almeno la logica della realtà . Se la realtà avesse avuto minor forza sopra di me, oppure se la realtà fosse di quelle che consentono la grandezza, (Roma, Germania), io sarei un uomo che vale qualcosa. Ma la realtà di questi anni, salvo alcune fiamme generose e fugaci, è merdosa: e in essa mi sento immedesimare ed annegare.