"L'assiuolo"

Letteratura e teatro

L’assiuolo Ã¨ un uccello rapace simile al gufo, che in Toscana prende il nome dal suo verso: chiù. Pascoli prende spunto da una leggenda popolare secondo la quale il verso di questo uccello all'alba annuncia disgrazie e, come per X Agosto, la trasforma e le dà un significato nuovo, più ampio: il canto dell'assiulo diventa simbolo inquietante della morte, sempre vicina e in agguato.

 

L'assiuolo è una delle poesie più significative di Pascoli per la ricchezza delle sensazioni visive e sonore, per l'alternarsi di immagini ben definite – come il mandorlo e il melo – con altre sfumate – come l'alba di perla contro la quale si stagliano – che contribuiscono creare un'atmosfera misteriosa e inquieta in cui gli elementi naturali diventano portatori di significati profondi e universali:

 

Dov’era la luna? ché il cielo
notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù...


Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com’eco d’un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù...


Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d’argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s’aprono più?...);
e c’era quel pianto di morte...
chiù...

 

 

La poesia si apre con un’interrogativa (Dov'era la luna?) che crea sospensione e attesa, subito seguita dalla descrizione di un paesaggio che presenta caratteristiche umane: il cielo nuota (notava in un'alba di perla), il melo e il mandorlo, come due persone, si protendono verso l'alto (ergersi) per vedere l'arrivo dell'alba, il vento trema e sospira (tremava un sospiro di vento).

 

In questo paesaggio l'alba è di perla, il cielo è un nero di nubi, la nebbia è di latte: il colore perlaceo dell'alba, il nero delle nubi, il bianco della nebbia, la qualità delle cose, rappresentata dagli aggettivi, è espressa attraverso due sostantivi (perla, latte) e un aggettivo sostantivato (un nero); la realtà sfuma e si distorce, non c'è più un confine definito tra astratto e concreto.

 

Gli eventi più semplici adombrano significati arcani: le cavallette, scuotendo le ali, emettono suoni simili a quelli dei sistri, gli antichi strumenti egiziani utilizzati nel culto di Iside, la dea che prometteva la resurrezione dopo la morte. La notte è sonora, piena di rumori e fruscii creati attraverso onomatopee (chiù, fru fru tra le fratte, sussulto, squassavano, tintinni), sinestesie (soffi di lampi), allitterazioni (finissimi sistri, cullare del mare); la ripetizione di parole all'inizio dei versi (venivano, veniva; sentivo, sentivo, sentivo) crea un ritmo incalzante, a volte enfatizzato (nel cuore un sussulto) a volte smorzato (il cullare del mare) da altri effetti sonori.

 

La parola chiù, collocata al termine di ognuna delle tre strofe (anafora), assume, in un drammatico crescendo, significati sempre più precisi e inquietanti: nella prima strofa è una voce che viene dai campi, nella seconda un singhiozzo, un pianto (singulto), nella terza un pianto di morte. 

 

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