Il 10 dicembre 1513 Machiavelli, confinato nel podere dell’Albergaccio risponde alla lettera dell’amico Francesco Vettori[1] che gli racconta una sua giornata alla corte romana di papa Leone X. In questa famosissima lettera, Machiavelli affronta temi diversi (la vita quotidiana, lo studio dei classici e la scrittura del Principe, le speranze e i timori per il futuro) usando registri stilistici altrettanto diversificati.
La lettera ha un registro alto nella parte iniziale e nel saluto: l’intestazione e il congedo sono in latino e Machiavelli, per esprimere il piacere provato nel ricevere notizie dall’amico Vettori, si rivolge a lui parafrasando un verso di Petrarca tratto da il Trionfo dell’EternitĂ [2].
Magnifico oratori Florentino Francisco Vectori apud Summum Pontificem et benefactori suo. Romae [3]
Magnifico ambasciatore. Tarde non furon mai grazie divine… Sis felix. Die 10 Decembris 1513
Machiavelli usa questo registro ogni volta che parla dei suoi studi. Prima del pranzo all’osteria, se ne va a leggere poesie d’amore[4] – che lo fanno pensare ai suoi amori – presso una fonte vicina a una voliera di uccelli:
Partitomi del bosco, io me ne vo ad una fonte, e di quivi in un mio uccellare. Ho un libro sotto, o Dante o Petrarca, o uno di questi poeti minori, come Tibullo, Ovidio e simili: leggo quelle loro amorose passioni, e quelli loro amori ricordomi de' mia: gòdomi un pezzo in questo pensiero.
La sera rimane ore allo scrittoio in compagnia dei classici. Machiavelli sceglie latinismi (solum, loto) e metafore colte per descrivere il passaggio (mi spoglio) dall’umile realtĂ quotidiana (veste cotidiana, piena di fango e loto) al meraviglioso mondo della cultura antica (antique corti) che rappresenta il vero cibo per la sua anima (mi pasco di loro) e cita Dante per spiegare come il Principe, a cui sta lavorando, nasca proprio da quei colloqui (la loro conversazione) con i grandi dell’antichitĂ :
Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanitĂ mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertĂ , non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro. E perchĂ© Dante dice che non fa scienza sanza lo ritenere lo havere inteso[5] – io ho notato quello di che per la loro conversazione ho fatto capitale, e composto uno opuscolo De Principatibus…
Troviamo invece parole tratte dal fiorentino parlato (badalucco, fare el diavolo, cricca, triche-trach, m’ingaglioffo[6])e metafore appartenenti al linguaggio popolare (rinvoltato entro questi pidocchi traggo il cervello in muffa)[7] e aneddoti[8] (la storia di Frosino da Panzano), quando Machiavelli racconta il suo umile quotidiano: va a caccia, si occupa del bosco[9], pranza all’osteria, gioca a carte e a dadi:
Ho insino a qui uccellato a' tordi di mia mano… Di poi questo badalucco… è mancato con mio dispiacere: e quale la vita mia vi dirò. Io mi lievo la mattina con el sole, e vòmmene in un mio bosco che io fo tagliare, dove sto dua ore a rivedere l'opere del giorno passato, e a passar tempo con quegli tagliatori, che hanno sempre qualche sciagura alle mani o fra loro o co' vicini. E circa questo bosco io vi harei a dire mille belle cose che mi sono intervenute, e con Frosino da Panzano e con altri che voleano di queste legne. E Frosino in spezie mandò per certe cataste senza dirmi nulla; e al pagamento, mi voleva rattenere dieci lire, che dice aveva havere da me quattro anni sono, che mi vinse a cricca in casa Antonio Guicciardini. Io cominciai a fare el diavolo, volevo accusare el vetturale, che vi era ito per esse, per ladro. Tandem Giovanni Machiavelli vi entrò di mezzo, e ci pose d'accordo.
[1] Francesco Vettori (1474-1539) fu ambasciatore della Repubblica di Firenze presso la corte pontificia di papa Leone X.
[2] Ma tarde non fur mai grazie divine:/in quelle spero che 'n me ancor faranno/alte operazĂŻoni e pellegrine. vv13-15
[3] A Francesco Vettori, Magnifico ambasciatore fiorentino presso il Sommo Pontefice, proprio benefattore. In Roma
[4] Ai tempi di Machiavelli Ovidio e Tibullo, che scrivevano poesie d’amore, erano considerati ‘minori’ rispetto ai poeti epici
[5] Paradiso, Canto V: Apri la mente a quel ch'io ti paleso/e fermalvi entro; ché non fa scïenza,/ sanza lo ritenere, avere inteso. vv. 39-42.
[6] Badalucco =passatempo; fare el diavolo = arrabbiarmi; cricca= gioco di carte; triche-trach= gioco con i dadi, m’ingaglioffo= divento un uomo volgare
[7] chiuso in queste misere occupazioni, mantengo attiva la mente
[8] Per aneddoto si intende un episodio poco noto, spesso curioso e caratteristico, che si riferisce a fatti storici, personaggi o eventi importanti. In questo caso il personaggio è Frosino da Panzano, un noto giocatore di carte che cerca di ingannare Machiavelli nel pagamento di una catasta di legna
[9] Machiavelli produceva e vendeva legna per ardere.