Il mito e il ritmo

    Letteratura e teatro

    Nel saggio Raccontare è monotono, scritto nel 1949 e pubblicato dopo la morte in Cultura e realtà, Pavese parla del mito e del suo rapporto con la poesia e con il ritmo che è alla base della scrittura:

     

    Senza mito – l'abbiamo già ripetuto – non si dà poesia: mancherebbe l'immersione nel gorgo dell'indistinto, che della poesia ispirata è condizione indispensabile... in ciascuna cultura e in ciascun individuo il mito è di sua natura monocorde, ricorrente, ossessivo. Come negli atti culturali l'evidente monotonia non offende i credenti bensì i tiepidi, così nella poesia... Del resto, dire stile è dire cadenza, ritmo, ritorno ossessivo del gesto e della voce, della propria posizione entro la realtà... Raccontare è sentire nella diversità del reale una cadenza significativa, una cifra irrisolta del mistero, la seduzione di una verità sempre sul punto di rivelarsi e sempre sfuggente. La monotonia è un pegno di sincerità.

     

    Pavese parla del mito anche nella presentazione ai Dialoghi con Leucò:

     

    Il mito è un linguaggio, un mezzo espressivo – cioè non qualcosa di arbitrario ma un vivaio di simboli cui appartiene – come a tutti i linguaggi – una particolare sostanza di significati; che null'altro potrebbe rendere. Quando riportiamo un nome proprio, un gesto, un prodigio mitico, diciamo in mezza riga, in poche sillabe, una cosa sintetica e comprensiva, un midollo di realtà che vivifica e nutre tutto un organismo.

     

    Nel 1950 in un’intervista alla radio trasmessa nella rubrica Scrittori al microfono, Pavese, parlando di sé in terza persona, spiega che cosa c’è all’origine del suo lavoro di scrittore: la ricerca del ritmo di ciò che accade, capace di trasformare in simboli luoghi, fatti e personaggi.

    Dialoghi con Leucò esprime al massimo questa sua ricerca, per questo Pavese lo ritiene il suo libro più significativo:

     

    Quando Pavese comincia un racconto, una favola, un libro, non gli accade mai di avere in mente un ambiente socialmente determinato, un personaggio o dei personaggi, una tesi. Quello che ha in mente è quasi sempre soltanto un ritmo indistinto, un gioco di eventi che, piú che altro, sono sensazioni e atmosfere. Il suo compito sta nell'afferrare e costruire questi eventi secondo un ritmo intellettuale che li trasformi in simboli di una data realtà. Ciò gli riesce, beninteso, secondo il grado di concretezza, sensoriale, dialogica, umana, che porta nella sua elaborazione. Nasce di qua il fatto, non mai abbastanza notato, che Pavese non si cura di «creare dei personaggi». I personaggi sono per lui un mezzo, non un fine. I personaggi gli servono semplicemente a costruire delle favole intellettuali il cui tema è il ritmo di ciò che accade: lo stupore come di mosca chiusa sotto un bicchiere, in Carcere, la trasfigurazione angosciosa della campagna e della vita quotidiana nella Casa in collina, la ricerca paradossale di che cosa siano campagna, civiltà cittadina, vita elegante e vizio nel Diavolo sulle colline, la memoria dell'infanzia e del mondo in La luna e i falò. I personaggi in questi racconti sono del tutto sommari, sono nomi e tipi, non altro: stanno sullo stesso piano di un albero, di una casa, di un temporale o di un'incursione aerea.

     

    L’intero saggio Raccontare è monotono si trova, con altri scritti, in Cesare Pavese, Il mestiere dello scrittore. 

    L’intervista alla radio del 1950 e l’articolo pubblicato nel n.1 della rivista Cultura e realtà (maggio-giugno 1950) si trovano in Saggi sul mito, tratti da: Cesare Pavese, Saggi letterari, Einaudi, Torino 1951.

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