Manzoni inizia l'ode a Carlo Imbonati rivolgendosi alla madre, compagna di vita di Carlo per molti anni, e le racconta la sua visione. Nel cuore della notte gli è apparso in sogno il nobile uomo, da lei additato come esempio di virtù:
Narrar t’udia di che virtù fu tempio
Il casto petto di colui che piangi; (vv10-12)
Il poeta lo descrive con toni affettuosi, pieni di rispetto e reverenza: avvolto in una limpida luce, con il volto calmo e sorridente, lo sguardo (ciglio) sereno e buono, l'ampia fronte disposta a nobili e profonde riflessioni (alti pensieri):
Era la notte; e questo
Pensiero i sensi m’avea presi; quando,
Le ciglia aprendo, mi parea vederlo
Dentro limpida luce a me venire,
A tacit’orma.
[…] Aperta
La fronte, e quale anco gl’ignoti affida:
Ma ricetto parea d’alti pensieri.
Sereno il ciglio e mite, ed al sorriso
Non difficile il labbro. (vv 16-30)
L'atmosfera non ha nulla di inquietante o di pauroso. La venerabile figura si siede sulla sponda del letto; il poeta vorrebbe abbracciarlo ma la reverenza lo blocca (stette la lingua; e mi tremò la palma) . Carlo Imbonati, allora dolcemente inizia a parlare per primo:
A me dappresso
Poi ch’e’ fu fatto, placido del letto
Su la sponda si pose. Io d’abbracciarlo,
Di favellare ardea; ma irrigidita
Da timor da stupor da reverenza
Stette la lingua; e mi tremò la palma,
Che a l’amplesso correva. Ei dolcemente
Incominciò: […] (vv. 30 -37)
Durante il colloquio che si svolge fra i due, Manzoni, per bocca del nobile interlocutore e maestro, ha modo di esprimere le sue idee riguardo alla funzione della letteratura, idee ispirate alla cultura illuministica milanese di cui Imbonati era stato un valido esponente. Questi versi sintetizzano l'ideale di vita di Manzoni, come uomo e come scrittore: comprendere profondamente (sentir), rispettare e interpretare (meditar) la realtà , avere a abitudini semplici (di poco /esser contento), non distogliere lo sguardo dall'obiettivo che ci si prefigge (non torcer gli occhi), rimanere onesti nelle azioni (la mano) e nei pensieri (la mente), sperimentare con moderazione (quanto ti basti/ per non curarle) le cose del mondo, non sottomettersi mai (mai servo) e opporsi sempre (non far tregua) a chi si comporta da vile, non tradire mai la Verità , santo vero), non pronunciare parole che esaltino il vizio e deridano la virtù:
Sentir, riprese, e meditar: di poco
Esser contento: da la meta mai
Non torcer gli occhi: conservar la mano
Pura e la mente: de le umane cose
Tanto sperimentar, quanto ti basti
Per non curarle: non ti far mai servo:
Non far tregua coi vili: il santo Vero
Mai non tradir: né proferir mai verbo,
Che plauda al vizio, o la virtù derida. (vv 207-215)