Nedda, detta la varannisa perché proviene dal paese di Viagrande, è un’orfana che si guadagna la vita raccogliendo olive. Verga la descrive così:
Era una ragazza bruna, vestita miseramente, dall'attitudine timida e ruvida che danno la miseria e l'isolamento. Forse sarebbe stata bella, se gli stenti e le fatiche non avessero alterato profondamente non solo le sembianze gentili della donna, ma direi anche la forma umana. I suoi capelli erano neri, folti, arruffati, appena annodati con dello spago, avea denti bianchi come avorio, e una certa grossolana avvenenza di lineamenti che rendeva attraente il suo sorriso. Gli occhi erano neri, grandi, nuotanti in un fluido azzurrino, quali li avrebbe invidiati una regina a quella povera figliuola raggomitolata sull’ultimo gradino della scala umana, se non fossero stati offuscati dall’ombrosa timidezza della miseria, o non fossero sembrati stupidi per una triste e continua rassegnazione. Le sue membra schiacciate da pesi enormi, o sviluppate violentemente da sforzi penosi, erano diventate grossolane, senza esser robuste […]
Unica gioia di Nedda è l’amore per Sebastiano (Janu), un contadino povero come lei.
– Addio, Nedda! – le gridò dietro Janu.
– Addio, – balbettò da lontano Nedda.
E le parve che le stelle splendessero come soli, che tutti gli alberi, noti uno per uno, stendessero i rami sulla sua testa per proteggerla, e i sassi della via le accarezzassero i piedi indolenziti […]
Ma Janu si ammala e, dovendo lavorare ugualmente, muore cadendo da un albero. Nedda, che aspetta un figlio da lui, rimane sola e mette al mondo una bambina rachitica e stenta. Coraggiosamente decide di non abbandonare la piccola (non volle che la buttassero alla Ruota) e per questa sua scelta le donne del paese l’accusano di non avere senso del pudore e la chiamano sfacciata. La comunità in cui vive la emargina, perciò alla povera bambina mancava il latte, giacché alla madre scarseggiava il pane. La piccola deperisce sempre di più e invano Nedda tenta di spremere fra i labbruzzi affamati il sangue del suo seno. Quando la piccola muore di stenti fra le sue braccia, Nedda cogli occhi asciutti e spalancati fuor di misura esclama – Oh! benedetta voi, Vergine Santa! che mi avete tolto la mia creatura per non farla soffrire come me! – Con queste parole si chiude la novella.