Nel blu, dipinto di blu (D. Modugno, F. Migliacci), 1958

    Domenico Modugno a "Canzonissima", 1969.  Per gentile concessione di Rai Teche

    Era da poco passata la mezzanotte del 29 gennaio 1958 quando, sul palcoscenico del Festival di Sanremo, il “cantattore” Domenico (Mimmo) Modugno (Polignano a Mare BA 1928 – Lampedusa ME 1994), già noto, al Sud ma non solo, per alcuni successi popolari in siciliano (Lu pisci spada, 1954) e in napoletano (Lazzarella, 1957), stretto in uno smoking azzurro che la neonata televisione in bianco e nero faceva apparire quasi bianco, spalancando teatralmente le braccia (gesto che sembrò rivoluzionario rispetto alle mani giunte sul cuore dei vecchi cantanti melodici), intonò a voce spiegata Nel blu, dipinto di blu (il testo era di un giovane paroliere mantovano alla sua prima prova, Franco Migliacci). Il pubblico ascoltò sorpreso da tanta audacia, e quando il cantante pugliese attaccò il refrain: “Volare…oh, oh! / cantare…oh, oh, oh, oh! / Nel blu, dipinto di blu, / felice di stare lassù…” scattò l’applauso, irrefrenabile. A casa, “la luce emessa dalla televisione conferisce una nuance diversa e inattesa al colore serale della vita nelle città e nei paesi. Promette qualcosa […]” (Berselli 1999, p. 15). Mimmo vinse il Festival (l’altro interprete della canzone era Johnny Dorelli), Nel blu, dipinto di blu (conosciuta, soprattutto all’estero, anche come Volare) divenne un enorme successo della nascente industria discografica , fu suonata in tutti i juke-box d’Italia e, negli USA, conquistò due Grammy Awards, fu presentata da “Mister Volare” all’Ed Sullivan Show e finì per essere la canzone italiana più conosciuta (e interpretata) nel mondo, forse seconda soltanto a ‘O sole mio.

     

    Modugno (e Migliacci) non potevano saperlo, ma quella sera era nata la “nuova” canzone italiana; da quella sera cantare in Italia non fu più lo stesso. “A Nel blu, dipinto di blu, meglio conosciuta come Volare, è toccato un destino unico nella storia della canzone italiana: essere molto più che una canzone, piuttosto uno spartiacque, un segnalibro dei tempi, uno di quegl’indicatori che scandiscono irrevocabilmente un prima e un dopo” (Castaldo cit. in Monti-Di Pietro 2003, p. 328). Da lì a poco nasceranno i “cantautori” (il termine, la cui paternità è ancora incerta, è del 1960) della “scuola genovese”: ma senza il “volo” di Modugno quella svolta tematica, linguistica, culturale e di costume tra canzone “ancien régime” e canzone “d’autore” o “d’arte” non sarebbe stata possibile.

     

    Sull’origine della canzone fiorirono innumerevoli leggende, alimentate prima di tutto dagli stessi coautori: si raccontò di un’ispirazione proveniente dai quadri di Chagall (Migliacci), o di una finestra aperta improvvisamente da un colpo di vento (Modugno) (Zoppa 2008, pp. 57-59), si parlò di futurismo e di surrealismo, si avanzò ogni tipo di interpretazione, filosofica, psicanalitica, sociologica, persino teologica. Eppure, il suo tasso di innovazione linguistica, rispetto al canone della tradizione, non è poi così elevato. “In Volare, è vero, sono evitati gli arcaismi come beltà (che in Tutte le mamme fa rima con bontà) o i caratteristici troncamenti in rima come mar, sol, conservar e persino scarpone militar (che popolano Vecchio scarpone); di conseguenza, manca anche la fatidica rima cuor: amor […] ma Volare condivide con quelle canzoni uno stesso codice, una stessa grammatica del testo per musica. Quella grammatica che – per rispettare il disegno delle rime baciate, accentate di preferenza sull’ultima sillaba- induce ancora ad alterare l’ordine delle parole (“venivo dal vento rapito” in rima con infinito, “gli occhi tuoi blu” in rima con più su) e spezzare la frase in modo che il verso si chiuda con l’accento giusto (“ma tutti i sogni nell’alba svaniscon perché / quando tramonta la luna li porta con sé”), imponendo di fatto il ricorso a parole come lassù e quaggiù, più, su, blu” (Antonelli 2010, pp. 17-18).

     

    La vera novità è quell’infinito sostantivato esplosivo e reiterato, di sapore futurista, voluto da Modugno e accettato da Migliacci (Zoppa 2008, p. 58) che non a caso divenne proverbiale e forse influenzò tanta titolistica (di canzoni, ma non solo). Nella sua analisi testuale de Nel blu, dipinto di blu, Nunzio La Fauci (2005, p. 240) ha osservato che “L’infinito è il nome del verbo, un nome cui in molti casi fa da esplicito argomento (e da supporto grammaticale) l’articolo determinativo: non nel presente, però. Da questo punto di vista, il ritornello è infatti caso esemplare di essenzialità espressiva: tutto ciò che è esplicitazione di rapporti formali ne è bandito. Non stupisce allora che grazie a tale carattere esso abbia potuto esorbitare dall’italofonia e suonare comprensibile e accattivante anche nella fortunata cover americana della canzone, quasi fosse un’espressione in foreigner talk, adatta anche a chi orecchia anche solo un po’ di italiano”. Canzone simbolo del 1958, nell’immaginario italiano (e dell’Italia percepita dagli altri), Volare resta la testimonianza indelebile di un desiderio di riscatto (dall’arretratezza, dalla povertà, in una parola dalla storia: non volano forse i poveri del zavattiniano Miracolo a Milano?) che un figlio del Sud trasforma, alle soglie della modernità, in un sogno di lì a poco possibile.

     

    Penso che un sogno così
    non ritorni mai più,
    mi dipingevo le mani
    e la faccia di blu,
    poi d’improvviso venivo
    dal vento rapito,
    e incominciavo a volare
    nel cielo infinito.

     

    Volare, oh oh
    cantare, oh oh oh oh
    nel blu, dipinto di blu,
    felice di stare lassù,
    e volavo volavo
    felice più in alto del sole
    ed ancora più su,
    mentre il mondo
    pian piano spariva lontano laggiù,
    una musica dolce suonava
    soltanto per me.

     

    Volare, oh oh ho ho
    cantare, oh oh oh oh
    nel blu dipinto di blu
    felice di stare lassù.
    Ma tutti i sogni
    nell’alba svaniscon perché,
    quando tramonta la luna
    li porta con sé,
    ma io continuo a sognare
    negli occhi tuoi belli,
    che sono blu come il un cielo
    trapunto di stelle.
    [...]

     

    Lorenzo Coveri

    [Da: Itabolario. L’Italia unita in 150 parole, a cura di Massimo Arcangeli, Roma, Carocci, 2011. Voce 1958. Volare (v.), pp. 205-207].

     

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