"Orlando Furioso": Astolfo sulla luna

    Letteratura e teatro
    Paul Gustave Doré (1832 –1883), Astolfo, illustrazioni per l’Orlando Furioso

    Astolfo, duca d’Inghilterra, lo incontriamo per la prima volta nel Canto VI: la maga Alcina, sua amante, si è stancata di lui e lo ha trasformato in una pianta di mirto. Ruggiero e la buona maga Lagostilla liberano Astolfo dall’incantesimo e la maga gli dona un corno dal suono spaventoso e un libro che insegna a difendersi dagli incantesimi (Canto XV).

     

    Grazie a questi oggetti preziosi Astolfo distrugge il palazzo di Atlante, doma l’Ippogrifo e, dopo aver cacciato le Arpie che infestano la mensa di re Senapo[1], in groppa alla straordinaria cavalcatura giunge in cima alla montagna del Purgatorio (luminoso tetto), dove si trova il Paradiso terreste. Qui incontra San Giovanni, un vecchio venerabile nel viso che gli spiega la sua prossima missione: per volere della provvidenza divina, dovrà recarsi sulla luna, trovare l’ampolla con il senno di Orlando, impazzito per amore, e restituire al paladino la sua saggezza; in questo modo egli potrà di nuovo combattere e portare l’esercito cristiano alla vittoria contro i saraceni. Così Astolfo e San Giovanni salgono sul carro alato del profeta Elia, trainato da quattro destrier più che di fiamma rossi e indi vanno al regno della luna (Canto XXXIV, 1 -70). 

     

    Lo stupore di Astolfo una volta giunto sulla luna, è grande. Due cose soprattutto lo meravigliano (doppia meraviglia): la luna gli appare come un globo d’acciaio senza macchia alcuna, molto più grande di quel picciol tondo che rassomiglia a noi vista dalla terra; il nostro mondo invece, privo di luce propria, si vede appena. Anche sulla luna ci sono fiumi, laghi, campagne, valli, montagne e castelli, ma il loro aspetto è diverso (altri) da quelli che troviamo sulla terra: Astolfo però non si sofferma a guardarli (a ricercar il tutto), non è questo lo scopo della sua missione! (Canto XXXIV, 71-72). 

     

    San Giovanni lo conduce in una stretta valle dove miracolosamente veniva raccolto (mirabilmente era ridutto) tutto quanto si perde sulla terra. A occupare la valle sono soprattutto la fama, che nel nostro mondo viene divorata dal tempo come tarlo, le preghiere che noi peccatori rivolgiamo a Dio, le lacrime e i sospiri degli amanti, il tempo sprecato, i progetti irrealizzati, i grandi imperi del passato ora quasi dimenticati, chiusi in sacche piene (tumide vesciche) di grida e frastuono, e tutte le miserie della vita di corte: i doni fatti ai re con la speranza di un compenso, i versi scritti per adulare i potenti (cicale scoppiate), i favori concessi dai principi ai loro protetti (ganimedi suoi). E ancora: trattati politici e congiure, che hanno l’aspetto di cittadi e di castella in rovina; monete false, simili a belle fanciulle dal volto di serpe; le elemosine lasciate dopo la morte, inutili come minestre rovesciate; la donazione di Costantino di cui rimane solo un monte di fiori putrefatti; la bellezza delle donne, che è la trappola (panie con visco) con cui si catturano gli ingenui (Canto XXXIV, 72-81).

     

    Infine Astolfo giunge nel luogo dove è raccolto ciò che tutti siamo convinti di avere: il senno. Ce n’è una quantità grandissima (un monte) e ha l’aspetto di un liquido inconsistente che evapora con facilità (licor suttile e molle, atto a esalar), chiuso in ampolle di varia grandezza: c’è il senno degli innamorati, degli astrologi, dei filosofi, dei poeti, di chi spera nei Signori. Sulla maggior di tutte è scritto Senno d’Orlando. Il duca, per prima cosa annusa l’ampolla che contiene il suo senno e recupera – almeno per il momento – la saggezza, poi prende quella del paladino, che si rivela molto più pesante del previsto (Canto XXXIV, 72- 92).

     

    Tornato sulla terra, Astolfo va in cerca di Orlando insieme ad altri paladini. Alla fine lo incontrano: la pazzia lo ha reso simile a una belva (fera). Tutti piangono di dolore vedendolo in quello stato, poi passano all’azione: gli si avventano addosso e cercano di afferralo per fargli annusare il senno contenuto nell’ampolla. Ma non è impresa da poco. Alla fine riescono a legare Orlando e a trascinarlo nel fiume che scorre lì vicino. Astolfo lo immerge nell’acqua sette volte per togliere dal viso e dal corpo tutta la sporcizia (la brutta rugine e la muffa), poi gli chiude la bocca e lo costringe ad aspirare col naso il contenuto dell’ampolla. Ed ecco: meraviglioso caso! /che ritornò la mente al primier uso;/e ne’ suoi bei discorsi l’intelletto/rivenne, più che mai lucido e netto (Canto XXXIX, 46-57).

     

     



    [1] Il re Senapo corrisponde a un personaggio leggendario meglio conosciuto col nome di Prete Gianni. Secondo i poemi del ciclo bretone, il Santo Graal si trovava nel suo favoloso regno. 

     

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