Pier delle Vigne (Inferno, canto XIII)

    Letteratura e teatro
    Gustave Doré (1832-1883), Pier delle Vigne

    Siamo nel VII cerchio dell’Inferno, dove sono puniti i violenti: qui, nel secondo girone, scontano la pena i suicidi, che furono violenti contro se stessi.

     

    Dante e Virgilio si trovano in un bosco tenebroso, privo di sentieri; le piante sono scure, senza frutti; sui i rami contorti e coperti di spine avvelenate, fanno il nido le arpie, creature mostruose con viso umano e corpo di uccello, che emettono sinistri lamenti.

     

    Dante non vede nessuno e pensa che i dannati siano nascosti fra i rovi, ma quando spezza il ramo di un grande arbusto, dalla pianta esce sangue scuro, accompagnato da un grido: «Perché mi schiante?».

     

    Chi parla è Pier delle Vigne (o della Vigna), nativo di Capua, politico, scrittore e letterato, vissuto alla corte di Federico II. Questo illustre personaggio contribuì alla realizzazione della Costituzione di Menfi, svolse importanti missioni diplomatiche, fu nominato capo della cancelleria imperiale. Improvvisamente, forse con l’accusa di tradimento, venne arrestato, imprigionato a San Miniato al Tedesco, vicino a Pisa, o nella stessa città di Pisa, e accecato con un ferro rovente. Morì in circostanze misteriose: forse fu assassinato a colpi di pietre o forse si suicidò sbattendo la testa contro il muro della cella. Dante lo pone nella selva dei suicidi e quindi non lo ritiene colpevole di tradimento, che avrebbe richiesto una pena diversa.

     

    Da lui il poeta apprende che i suicidi sono stati trasformati in piante perché non sono degni di avere il corpo a cui hanno usato violenza; per questo dopo il Giudizio Universale saranno i soli a non rientrare nel proprio corpo, ma lo trascineranno nel bosco per appenderlo ai rami della pianta in cui ora è chiusa la loro anima. L’immagine dell’albero che parla e sanguina è tratta dall’Eneide di Virgilio dove Enea, per costruire un altare, strappa alcuni rami a una pianta; dal legno escono il sangue e la voce di Polidoro, figlio di Priamo, ucciso a tradimento dal re di Tracia che voleva impossessarsi del suo oro.

     

    Pier delle Vigne racconta di essere riuscito a diventare l’uomo più autorevole della corte, l’unico confidente di Federico II, colui che teneva entrambe le chiavi del suo cuore, quella della clemenza e quella della condanna. Questo grande potere aveva scatenato l’invidia dei cortigiani che l’accusarono di tradimento e gli resero nemico l’imperatore, a cui invece era sempre rimasto fedele. Non sopportando l’ingiusta condanna, egli si tolse la vita, commettendo così un’ingiustizia nei confronti di se stesso.

     

    Per parlare con Dante, Pier delle Vigne utilizza un linguaggio complesso, intricato, ricco di figure retoriche e di espressioni legate alla caccia, molto praticata alla corte di Sicilia.

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