"La primavera hitleriana"

    Letteratura e teatro

    Primavera hitleriana fa parte della raccolta La bufera e altro. In questa poesia, che prende spunto dalla visita di Hitler a Firenze nel 1938, Montale invoca Clizia, il girasole: sempre in cerca della luce, il fiore incarna la poesia e la civiltà, uniche vie di salvezza contro il degrado e la barbarie del mondo.

     

    La storia di Clizia è narrata da Ovidio nelle Metamorfosi (libro IV). Il girasole un tempo era Clizia, una ninfa innamorata del Sole: quando si accorse che il dio la trascurava per recarsi da un’altra donna, Leucòtoe, provocò la morte della rivale. Il Sole però, perduta Leucòtoe, non volle più vedere Clizia. La fanciulla, allora, trascorse giorni e giorni struggendosi in lacrime e osservando il dio che conduceva il suo carro nel cielo senza rivolgerle neppure uno sguardo; alla fine, consumata dall’amore, si trasformò in un fiore, che cambia inclinazione durante il giorno secondo lo spostamento dell’astro, e perciò è detto girasole.

     

    Nella Primavera hitleriana sotto le sembianze del fiore innamorato si cela Irma Brandeis, la donna amata da Montale: il poeta la chiama col nome di Clizia per la prima (e unica) volta proprio in questi versi che preannunciano l'imminente catastrofe della guerra. Al verso 34 Montale, rivolgendosi a Irma-Clizia riprende le parole usate da Ovidio per descrivere la ninfa: vertitur ad solem mutataque servat amorem (si volge verso il sole ed anche così mutata conserva l’amore).

     

    Folta la nuvola bianca delle falene impazzite
    turbina intorno agli scialbi fanali e sulle spallette,
    stende a terra una coltre su cui scricchia
    come su zucchero il piede; l'estate imminente sprigiona
    ora il gelo notturno che capiva
    nelle cave segrete della stagione morta,
    negli orti che da Maiano scavalcano a questi renai.


    Da poco sul corso è passato a volo un messo infernale
    tra un alalà di scherani, un golfo mistico acceso
    e pavesato di croci a uncino l'ha preso e inghiottito,
    si sono chiuse le vetrine, povere
    e inoffensive benché armate anch'esse
    di cannoni e giocattoli di guerra,
    ha sprangato il beccaio che infiorava
    di bacche il muso dei capretti uccisi,
    la sagra dei miti carnefici che ancora ignorano il sangue
    s'è tramutata in un sozzo trescone d'ali schiantate,
    di larve sulle golene, e l'acqua séguita a rodere
    le sponde e più nessuno è incolpevole.


    Tutto per nulla, dunque? – e le candele
    romane, a San Giovanni, che sbiancavano lente
    l'orizzonte, ed i pegni e i lunghi addii
    forti come un battesimo nella lugubre attesa
    dell'orda (ma una gemma rigò l'aria stillando
    sui ghiacci e le riviere dei tuoi lidi
    gli angeli di Tobia, i sette, la semina

    dell'avvenire) e gli eliotropi nati
    dalle tue mani – tutto arso e succhiato
    da un polline che stride come il fuoco
    e ha punte di sinibbio....
    Oh la piagata
    primavera è pur festa se raggela
    in morte questa morte! Guarda ancora
    in alto, Clizia, è la tua sorte, tu
    che il non mutato amor mutata serbi,
    fino a che il cieco sole che in te porti
    si abbàcini nell'Altro e si distrugga
    in Lui, per tutti. Forse le sirene, i rintocchi
    che salutano i mostri nella sera
    della loro tregenda, si confondono già
    col suono che slegato dal cielo, scende, vince -
    col respiro di un'alba che domani per tutti
    si riaffacci, bianca ma senz'ali
    di raccapriccio, ai greti arsi del sud...

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