Ulisse (Inferno, canto XXVI)

Letteratura e teatro
Il naufragio di Ulisse, miniatura di scuola fiorentina (fine sec. XIV)

Dante incontra Ulisse nell'ottava bolgia dell'ottavo cerchio dove sono puniti i consiglieri fraudolenti, cioè condottieri e uomini politici che raggiunsero ciò che desideravano non con le armi e il coraggio, ma utilizzando in modo spregiudicato la loro acuta intelligenza. Un’unica fiamma a due punte racchiude Ulisse e Diomede, che progettarono l’inganno del cavallo di Troia e il furto del Palladio. Insieme commisero peccato e insieme scontano la pena.

 

Poiché con la lingua ingannarono gli altri e tennero celata la verità, per la legge del contrappasso (dal latino contra e patior, “soffrire il contrario”) sono avvolti e nascosti da lingue di fuoco.

 

Il poeta non aveva letto l’Odissea perché non conosceva il greco e i grandi scrittori latini (Virgilio, Orazio, Seneca e Cicerone) non davano notizie sulla fine di Ulisse. All’epoca di Dante era nota e accettata l’ipotesi del grammatico latino Servio Onorato (fine secolo IV), uno dei commentatori dell’opera di Virgilio. Nell’Eneide (III, vv. 551-553) descrivendo il viaggio di Enea lungo le coste della Calabria, si parla di un luogo chiamato Scyllaceum e Servio, mentre illustra il passo, spiega che l’aggettivo Scilaceum: (“pericoloso per le navi”) sarebbe derivato dal naufragio fatto da Ulisse su quelle spiagge; l’eroe greco avrebbe poi fondato una città con i resti delle sue navi distrutte, dandole il nome di Navifragum Scyllaceum.

 

Dante quindi, basandosi su questi indizi, crea una sua originale versione della storia e fa di Ulisse il simbolo dell’uomo che spinto dal desiderio di conoscere e di sapere, di sua volontà – e non per volere del Destino o della divinità avversa –, può superare i limiti imposti da Dio e perdersi per sempre.

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