Il “bifrontismo spirituale” del Tasso e della sua epoca

    Letteratura e teatro

    La storia della poesia di Tasso rispecchia l'intero arco della crisi del suo tempo e ne riflette tutto il cammino variamente accidentato: dal momento vivo e positivo, che nei suoi aspetti drammatici e intensi era già stato suggestivamente espresso dall'opera di Michelangelo, al momento della chiusura più rigida della restaurazione cattolica. Con il suo generoso tentativo di conciliazione del classicismo con la moderna ansietà religiosa, il Tasso partecipava a tutti gli slanci e alle speranze, ma anche alle incertezze e confusioni sentimentali che caratterizzarono quell'epoca di rottura, di autentico bifrontismo spirituale.

     

    Una figura così complessa come la sua va reinserita nella storia dell'epoca di cui si trovò ad assumere i tratti dominanti, sì che le sue stesse contraddizioni non vengono più attribuite a bizzarrie umorali o a debolezze di carattere, ma siano considerate come il riflesso di una condizione spirituale più vasta e generale, come la testimonianza, sia pure soggettivamente ipersensibilizzata, di quella intensa crisi che si aperse, giusto nel cinquantennio che durò la non lunga vita del Tasso, nelle istituzioni politiche e nella vita intellettuale italiana[1].



    [1] Tratto con adattamenti da: Lanfranco Caretti, Da Ariosto e Tasso, Torino, Einaudi, 1970

     

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