2. L'avvento del sonoro: tra canzoni, telefoni bianchi e propaganda

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Vittorio de Sica in "Gli uomini, che mascalzoni...", 1932
I primi film sonori italiani furono realizzati dalla Cines nel 1930: "La canzone dell'amore" di Gennaro Righelli, con le musiche di Cesare Andrea Bixio, e "Resurrectio" di Alessandro Blasetti. Il primo, in particolare, fu un successo internazionale, come film e soprattutto come canzone. Sull'onda di tale successo, fu proprio la "commedia con canzoni" il genere su cui puntò la cinematografia italiana per rispondere allo strapotere di Hollywood, già allora predominante in Italia e in Europa con i film di F. Capra, J. Von Sternberg, E.Lubitsch e attori del calibro di Clark Gable, Gary Cooper, Greta Garbo e Marlene Dietrich.
 
Il divario di mezzi e risorse rispetto al cinema americano era però incolmabile, e si ricercò la co-produzione internazionale, in particolare con la Germania, che divenne partner privilegiato del nostro paese sui grandi schermi prima ancora che in politica. Dal legame con il cinema tedesco nacquero infatti film come "La segretaria privata" (1931) di Goffredo Alessandrini, con Elsa Merlini e Nino Besozzi, e "La telefonista" (1932) di Nunzio Malasomma: era l'inizio del filone dei "telefoni bianchi". Contemporaneamente, Mario Camerini dirigeva "Gli uomini, che mascalzoni..." (1932), variante sullo stesso filone, portata al successo dalla canzone "Parlami d'amore Mariù" (di Bixio e Cherubini), interpretata dalla stella emergente Vittorio De Sica. Fu questo l'unico film italiano in concorso alla prima Mostra del Cinema di Venezia, istituita nello stesso 1932. Furono proprio i film di Camerini, insieme a quelli di Blasetti, a segnare una prima rinascita del cinema italiano dopo la crisi del decennio precedente.
 
A tale rinascita contribuirono poi anche le iniziative del regime fascista,in particolare il Centro Sperimentale di Cinematografia (1935) e Cinecittà (1937): il cinema italiano divenne presto un'industria capace di produrre ottanta pellicole l'anno e di generare divi come Amedeo Nazzari, Assia Noris e Alida Valli. L'interesse del regime per questo settore era però finalizzato soprattutto alla propaganda: per Mussolini, il cinema era "l'arma più forte", il mezzo ideale per diffondere e celebrare la sua immagine e quella del fascismo, di cui doveva veicolare i valori e le prospettive. Non a caso, già nel 1924 era nata L'Unione Cinematografica Educativa (poi nota come Istituto LUCE), l'ente incaricato di realizzare e diffondere i cinegiornali e i documentari del regime.
 
Come osservò Walter Benjamin nel suo saggio "L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica" (1936): "Il fascismo tende a un'estetizzazione della vita politica. Alla violenza esercitata sulle masse, che vengono schiacciate dal culto del duce, corrisponde la violenza da parte di un'apparecchiatura di cui esso si serve per la produzione di valori culturali. Tutti gli sforzi in vista di un'estetizzazione della politica convergono verso un punto. Questo punto è la guerra". Non a caso tra i film più direttamente associati alla propaganda fascista si ricordano pellicole come "Scipione l'Africano" (1937) di Carmine Gallone, "Luciano Serra pilota" (1938) e "Abuna Messias" (1939) di Goffredo Alessandrini, che esaltavano la politica imperialista del regime e in particolare la Guerra d'Etiopia.
 
Nel giro di qualche anno però, il cinema di propaganda perse il suo potere di fascinazione sul pubblico, soprattutto da quando gli esiti nefasti del secondo conflitto mondiale cominciarono ad essere evidenti ai più, mentre il filone dei "telefoni bianchi" veniva soppiantato da commedie più realistiche e in particolare dal fenomeno Totò.