La riflessione cristiana pre-rinascimentale sulla ricchezza, sulla dicotomia superfluo-necessario, si fondava sull’etica religiosa della salvezza delle anime. All’indice era anzitutto l’ostentazione nei luoghi di potere, nelle corti. Ma nel basso Medioevo anche l’ambito cittadino fu attirato da quel gioco delle apparenze di cui l’abbigliamento è il primo veicolo. Nelle vie aumentavano le trabacche con esposti una quantità di prodotti plasmati nelle botteghe di abili artigiani in “oggetti del desiderio”: tessuti preziosi, fini gioielli, mobili e utensili decorati per “apparire” anche nello spazio domestico… Una “degenerazione esibizionistica”, secondo le critiche dei moralisti, che i legislatori tentavano di calmierare con leggi suntuarie; nondimeno la nuova classe mercantile era decisa a godere della propria affermazione, convinta che anche la vita terrena meritasse attenzione.
L’evoluzione rinascimentale muove così dalla sfera teologica-privata a quella giuridica-pubblica. Il superfluo non è più bollato dal peccato e talora diviene la ragione stessa dell’agire: lecito è aspirare alla ricchezza, pur nel rispetto della comunità. Firenze fu allora pioniera dei moderni Stati, teorizzando e sperimentando il criterio redistributivo coi primi sistemi di tassazione, come l’imposta a carattere progressivo sul reddito fondiario, chiamata “decima scalata” o “graziosa”, introdotta da Lorenzo De Medici. Testimonia il Guicciardini che, partendo dalla tripartizione tra spese necessarie, di comodità, superflue, un’imposta progressiva andrebbe ad intaccare le spese eccedenti dei ricchi non toccando quelle necessarie dei meno abbienti. Il dibattito sulla progressività, troppo avanzato per quel tempo, si sviluppò poi nel Settecento, per divenire incandescente nell’Ottocento.
L’immagine di Lorenzo de’ Medici, principe di Firenze, rappresenta la quintessenza del potere maschile della città, come ben mostrano busti e ritratti, dal Verrocchio, uno dei tanti artisti da lui protetti, al più tardo Bronzino. Lo schema iconografico lo mostra pensieroso, sguardo verso il basso ma teso all’infinito, come a interrogarsi sulle sorti della Signoria. Ma tutta l’eloquenza è nell’abito, consono a un’autorevolezza più da filosofo che da principe: il tipico cappuccio alla foggia del tempo, campeggia sulla sobria cioppa di colore grigio che scopre le maniche della rossa veste talare, come i dottori del trecento. Il copricapo, che incornicia la testa dai capelli lunghi sul collo, mostra le tre parti distinte che lo compongono: il mazzocchio, che cinge il capo, cilindro imbottito ricoperto di tessuto, chiuso e foderato nella parte superiore; quindi la foggia, lembo posto sotto la parte sinistra del mazzocchio, scende sulle spalle accostando al viso, è il primo elemento asimmetrico nell’abbigliamento pubblico e rompe la monotonia del mantello. Infine il becchetto, doppia striscia di tessuto uguale che cade fino a terra. Lorenzo lo avvolge intorno alla cioppa perché rimanga sospeso dalla parte destra. Il ruolo dell’abbigliamento nell’emergere dell’identità sociale diviene sempre più consapevole dal Rinascimento e il mazzocchio era spesso usato da personaggi influenti, che tenevano a personalizzarne il drappeggio ognuno “a suo modo”, rendendo singolare anche un abito molto formale.
La lavorazione del cappuccio spettava al sarto, non ai cappellai, essendo un oggetto di tessuto difficile da modellare e dovendo essere dello stesso materiale della cioppa o del mantello. Questo copricapo, anche femminile, che era molto diffuso per tutto il Medioevo sparì alla fine del XV secolo e il ritratto di Lorenzo, morto nel 1492 testimonia così la fine di un’epoca. Nota il Guicciardini nei suoi Ricordi:
Se voi osservate bene, vedrete che di età in età, non solo si mutano e’ modi di parlare degli uomini ed e’ vocaboli, gli abiti del vestire, gli ordini dello edificare, della cultura e cose simili.