5.2 L'Italia centromeridionale

    Dialetti e altri idiomi d'Italia
    La carta “frantoio” dell’AIS

    La linea Roma-Ancona costituisce il limite settentrionale di diffusione di fenomeni presenti in tutto il Mezzogiorno. Tra questi si possono ricordare la resa come z (ts) di s dopo consonante (diverzo, penzo);  la pronuncia intensa (dunque tendenzialmente “doppia”) di b e g interne di parola (incredibbile, staggione); la assimilazione – fuorché in Calabria meridionale – dei nessi latini -ND- e -MB- (quanno; gamma). All’opposto dell’area settentrionale, sotto la Roma-Ancona la -s- tra vocali è sempre “sorda” (cioè come in sale, non come in sbaglio). In area centromeridionale, poi, l’articolo determinativo maschile, indipendentemente dall’iniziale della parola che segue, è sempre lo (in diverse declinazioni: lo / lu / ju / u, ecc.). La sintassi, poi, prevede che il complemento oggetto animato sia retto in genere da preposizione (ho chiamato a Gianni). Altre caratteristiche notevoli dell’area, che tuttavia non giungono fino al suo confine settentrionale, sono la sonorizzazione di k, t, p dopo le consonanti nasali (anghe , mondagna, tembo), l’esito ki- del nesso latino PL- (PLUS > kiù ‘più’), il tipo lessicale femmina per ‘donna’.

     

    L’alta frequenza di fenomeni comuni non deve peraltro far pensare a una assoluta omogeneità dell’area, che in effetti si distingue in tre principali sezioni: una settentrionale che in pratica si dispone lungo il percorso dell’isoglossa, una alto-meridionale con epicentro Napoli e una meridionale estrema con Calabria meridionale, Salento e Sicilia. Possiamo esemplificare la differenza tra queste aree osservando il diverso destino a cui vanno incontro le vocali non accentate poste alla fine delle parole. Nella sezione settentrionale dell’area (più o meno corrispondente a Lazio centrale, Umbria e Marche meridionali, Abruzzo settentrionale) le vocali finali si conservano, in alcuni casi sfruttando la distinzione tra parole latine in -U e -O per esprimerne il carattere più o meno “animato” (omo / acitu). Nella sezione che ha Napoli come polo linguistico di riferimento (e che oltre alla Campania comprende anche Lazio e Abruzzo meridionale, Molise, Puglia non salentina, Basilicata e Calabria settentrionale) le vocali finali, se non sono accentate, vanno incontro a una pronuncia indistinta (indicata in fonetica con la grafia ə: quannə ‘quando’). Nell’area estrema le vocali finali tornano a farsi sentire, in virtù di un sistema vocalico che prevede 5 vocali accentate – con timbro “aperto” delle e e delle o (à, è, i, ò, u) – e 3 vocali non accentate (a, i, u). Quello che a Napoli e Bari è solə (‘sole’), a Catanzaro, Lecce e Catania è dunque suli.

     

    Un altro vistoso fenomeno che distingue i dialetti delle aree estreme da quelli “napoletani” è l’assenza di posposizione dell’aggettivo possessivo, che invece caratterizza tutta la restante area centro-meridionale, al punto da costituire in alcuni dialetti una forma unica con il sostantivo: dunque in Sicilia avremo ma sora ‘mia sorella’ e non sòrəmə. Nelle aree estreme, poi, troviamo il caratteristico esito di -LL- e di -TR- , che vengono pronunciati “retroflettendo” la punta del lingua messa in contatto col palato (bedda mat’ri!).