9.1.2. L’industria ceramica

Moda e design
Ulisse Cantagalli, il vaso “a testa di gatto” (1902)

Nell’industria ceramica il retaggio dell’alta tradizione artistico-artigianale, i cospicui profitti generati da un mercato estero che supporta la passione dell’antiquariato richiedendo copie fedeli o rifacimenti dei manufatti “storici” (uniti all’alto costo delle nuove tecnologie), giocano un ruolo di deterrente all’innovazione formale. Ma alcune aziende lungimiranti capiscono l’aspirazione degli artisti “nuovi” (primi fra tutti Adolfo De Carolis, Duilio Cambellotti, Arturo Martini e Galileo Chini) di misurarsi con le arti fin qui ritenute minori, ma che abbracciavano in un’unica ricerca la loro concezione estetica e offrivano la possibilità di testare materie e tecniche diverse. Una delle “arti” più frequentate fu la ceramica, per sua natura la più vicina a quella sintesi alchemica cara alla poetica simbolista a cui il Liberty non fu immune (una simile attrazione si manifesta nei confronti del vetro, materia anch’essa fatta di terra, acqua e fuoco). I prodotti ceramici inoltre erano i più vicini all’oggetto d’uso quotidiano, attraverso il quale far penetrare la democratizzazione della bellezza totale, aspirazione anch’essa in prima linea negli scopi dei movimenti dell’Arte Nuova, dalle Arts and Crafts, alla Wiener Werkstätte, fino alla Bauhaus. Anche se in Italia non vi furono veri movimenti-azienda, a parte il breve tentativo di Aemilia Ars, si realizzarono collaborazioni importanti fra alcune fabbriche e i singoli artisti-designer (una visita al mirabile Museo Internazionale delle Ceramiche, fondato nel 1908 a Faenza, sarebbe illuminante).

 

Oltre alla centralità di Faenza (e il contributo donatovi da Domenico Baccarini), “è interessante segnalare una curiosa intersecazione anglo-italiana, realizzatasi a Firenze. È noto come la città toscana fosse meta di pellegrinaggi di intellettuali e artisti di tutta Europa, ma particolarmente inglesi e tedeschi, e dunque vivesse (come peraltro Roma) una condizione di aperto e vasto cosmopolitismo. Negli anni Ottanta il grande ceramista inglese William de Morgan si recò diverso tempo a Firenze per studiare nella fabbrica di Cantagalli (era amico di uno dei dirigenti) la tecnica del lustro ceramico. Un raro albarello [vaso di farmacia] a lustro metallico rosso e a disegno di pavoni, databile alla metà del nono decennio, indica con sicurezza il frutto di questo contatto e degli scambi proficui tra gli Arts and Crafts inglesi e il patrimonio figurativo e tecnico italiano. E allo stesso tempo indica come i prodotti della celeberrima fabbrica, esportati in tutto il mondo, potessero influenzare il nascente gusto Liberty europeo” (Fabio Bensi). In realtà la Manifattura di Ulisse Cantagalli è soprattutto nota per la bravura nell’ “imitare” passati stili gloriosi, ma, come dimostra il vaso “a testa di gatto” del 1902, uno dei pezzi più significativi del periodo, il pur breve passaggio di De Carolis nella ditta ha avuto il suo seguito, così come lo ebbe nella Società Ceramica Artistica Fiorentina e nella Manifattura Ginori di Doccia, che pur nella fusione alla lombarda Richard darà valore al design dell’oggetto, come accadrà in “area Decò” (1923-1930) con la direzione artistica di Gio Ponti.

Esemplare è il caso di Galileo Chini, artista “totale”, che nel 1896 si emancipa in senso modernista gestendo una fabbrica tutta sua, L'Arte della Ceramica: “ispirata prima a una lineare interpretazione del preraffaellismo, poi a un versatile e straordinariamente moderno repertorio di forme e di colori, tra i più alti raggiungimenti del genere in Europa” (F. Bensi). Il fascino subito dall’oriente fin dagli esordi si impone qui nelle rutilanti cromie, nei lustri cangianti delle maioliche e persino nella ricerca, nell’emulazione tecnica del grès cinese, che costituisce una delle novità della sua fabbrica, divenuta nel 1906 la Manifattura Fornaci San Lorenzo.