La canzone, scritta nel gennaio 1822, parla dell’origine del mito (le favole antiche) e già nel titolo stabilisce un paragone fra la primavera, stagione in cui rinasce la natura, e il mito, che segna la nascita dell’umanità . Leopardi ha affrontato questo tema nel Discorso intorno alla poesia romantica e ora nella canzone dichiara che, da quando la scienza e la filosofia hanno rivelato la falsità dei miti (poscia che vote / son le stanze d’Olimpo), gli uomini non possono più credere in una Natura viva, attenta e partecipe alle vicende dei mortali. Questa terribile consapevolezza distrugge ogni illusione (in freddo orror dissolve) e condanna i mortali all’infelicità . Il poeta termina il suo canto con un’invocazione alla vaga natura perché gli restituisca la capacità d’immaginare, l’antica fiamma (la favilla antica) capace di donare luce e speranza nella vita degli uomini. Riportiamo i versi finali che sintetizzano il pensiero di Leopardi (vv. 80-95):
Ahi ahi, poscia che vote
Son le stanze d’Olimpo, e cieco il tuono
Per l’atre nubi e le montagne errando,
Gl’iniqui petti e gl’innocenti a paro
85In freddo orror dissolve; e poi ch’estrano
Il suol nativo, e di sua prole ignaro
Le meste anime educa;
Tu le cure infelici e i fati indegni
Tu de’ mortali ascolta,
Vaga natura, e la favilla antica
Rendi allo spirto mio; se tu pur vivi,
E se de’ nostri affanni
Cosa veruna in ciel, se nell’aprica
Terra s’alberga o nell’equoreo seno,
Pietosa no, ma spettatrice almeno.