In questa pagina del Saggiatore Galileo propone, in forma di favola, un concetto fondamentale della Scienza Nuova: il carattere aperto, dinamico e mai concluso della ricerca. Con la concretezza e la semplicità proprie delle parabole evangeliche,Galileo illustra l’esperienza della ricerca scientifica. Il protagonista è mosso da «ingegno» e «curiosità » e il suo cammino incontra stimoli che continuamente ne sollecitano la «meraviglia». Alle sollecitazioni sensoriali la Scienza Nuova offre una risposta costruttiva e originale: il metodo scientifico e razionale, inteso come acquisizione progressiva di dati che a loro volta necessitano di interpretazioni, nello sforzo (che non ha mai fine) di formulare ipotesi razionali capaci di spiegare in modo sempre più sicuro e attendibile un numero sempre più ampio di fenomeni. L’autore osserva le cose attraverso gli occhi del personaggio e ciò che più lo interessa è il rapporto emotivo e intellettuale che si instaura tra l’osservatore e le cose stesse. Il punto di vista inconsueto da cui sono guardati gli oggetti utilizzati dall’uomo e dagli animali – che acquistano una vita “musicale” insospettata (i “canti” degli uccelli, i “dolci sibili sonori” dei grilli, la “voce” della cicala) – non è un’occasione pretestuosa per un puro esercizio linguistico, ma è il resoconto della progressione delle esperienze attraverso cui il personaggio trasforma la sensazione in «sensata esperienza», cioè un’ipotesi di spiegazione concettuale del fenomeno, orientata a svelarne i meccanismi di funzionamento e le cause, pervenendo così a una conoscenza sempre più ampia della realtà circostante.
Parmi d’aver per lunghe esperienze osservato, tale esser la condizione umana intorno alle cose intellettuali, che quanto altri meno ne intende e ne sa, tanto più risolutamente voglia discorrerne; e che, all’incontro, la moltitudine delle cose conosciute ed intese renda più lento ed irresoluto al sentenziare circa qualche novità . Nacque già in un luogo assai solitario un uomo dotato da natura d’uno ingegno perspicacissimo e d’una curiosità straordinaria; e per suo trastullo allevandosi diversi uccelli, gustava molto del lor canto, e con grandissima meraviglia andava osservando con che bell’artificio, colla stess’aria con la quale respiravano, ad arbitrio loro formavano canti diversi, e tutti soavissimi. Accadde che una notte vicino a casa sua sentì un delicato suono, né potendosi immaginar che fusse altro che qualche uccelletto, si mosse per prenderlo; e venuto nella strada, trovò un pastorello, che soffiando in certo legno forato e movendo le dita sopra il legno, ora serrando ed ora aprendo certi fori che vi erano, ne traeva quelle diverse voci, simili a quelle d’un uccello, ma con maniera diversissima.
Stupefatto e mosso dalla sua natural curiosità , donò al pastore un vitello per aver quel zufolo; e ritiratosi in sé stesso, e conoscendo che se non s’abbatteva a passar colui, egli non avrebbe mai imparato che ci erano in natura due modi da formar voci e canti soavi, volle allontanarsi da casa, stimando di potere incontrar qualche altra avventura. Ed occorse il giorno seguente, che passando presso a un piccol tugurio, sentì risonarvi dentro una simil voce; e per certificarsi se era un zufolo o pure un merlo, entrò dentro, e trovò un fanciullo che andava con un archetto, ch’ei teneva nella man destra, segando alcuni nervi tesi sopra certo legno concavo, e con la sinistra sosteneva lo strumento e vi andava sopra movendo le dita, e senz’altro fiato ne traeva voci diverse e molto soavi. Or qual fusse il suo stupore, giudichilo chi participa dell’ingegno e della curiosità che aveva colui; il qual, vedendosi sopraggiunto da due nuovi modi di formar la voce ed il canto tanto inopinati, cominciò a creder ch’altri ancora vene potessero essere in natura. Ma qual fu la sua meraviglia, quando entrando in certo tempio si mise a guardar dietro alla porta per veder chi aveva sonato, e s’accorse che il suono era uscito dagli arpioni e dalle bandelle nell’aprir la porta?
Un’altra volta, spinto dalla curiosità , entrò in un’osteria, e credendo d’aver a veder uno che coll’archetto toccasse leggiermente le corde d’un violino, vide uno che fregando il polpastrello d’un dito sopra l’orlo d’un bicchiero, ne cavava soavissimo suono. Ma quando poi gli venne osservato che le vespe, le zanzare e i mosconi, non, come i suoi primi uccelli, col respirare formavano voci interrotte, ma col velocissimo batter dell’ali rendevano un suono perpetuo, quanto crebbe in esso lo stupore, tanto si scemò l’opinione ch’egli aveva circa il sapere come si generi il suono; né tutte l’esperienze già vedute sarebbono state bastanti a fargli comprendere o credere che i grilli, già che non volavano, potessero, non col fiato, ma collo scuoter l’ali, cacciar sibili così dolci e sonori.