Le vocali, oltre ad essere il perno su cui si appoggia l’intera sillaba, sono anche portatrici dell’accento. Ci riferiamo qui all’accento che si avverte comunque nella pronuncia delle parole e che si chiama accento fònico, e non al segno grafico che si mette solo in alcuni casi e si chiama accento grafico.
Nella lingua italiana le parole che hanno più di una sillaba hanno una vocale «più forte» delle altre: su questa vocale infatti s’appoggia l’«accento», che consiste in una espirazione d’aria fatta con più forza (si chiama accento espiratorio o d’intensità ). Ad esempio, nella parola volare lo sforzo maggiore della voce è sulla a; nella parola pecora è sulla e.
La vocale su cui cade l’accento si chiama vocale tònica. Le altre vocali della stessa parola si chiamano à tone (ossia ‘senza accento’). Ciò che riguarda la vocale riguarda in realtà l’intera sillaba che la contiene, e perciò diciamo che nelle parole polisillabiche esistono sillabe toniche e sillabe atone.
Nelle parole polisillabiche della nostra lingua l’accento tonico può trovarsi:
- sull’ultima vocale e sillaba: città , virtù, caffè, perché, partì, portò (parole tronche o ossitone;
- sulla penultima vocale e sillaba: vedo, cavallo, ascensore, appartamentino, canterei (parole piane o parossìtone);
- sulla terzultima vocale e sillaba: semplice, vengono, albero, contenterebbero (parole sdrucciole o proparossìtone);
- sulla quartultima vocale e sillaba: considerano, stimolano (parole bisdrucciole);
- sulla quintultima vocale e sillaba: ordinamelo, revocaglielo (parole trisdrucciole).
Nella pronuncia di parole lunghe o composte si ravvisa un accento primario (marcato negli esempi seguenti in grassetto) e un accento secondario (negli esempi, in carattere normale): précipitóso, vélocizzà re, cà postazióne, móntacà richi.
In italiano l’accento ha funzione fonematica o distintiva, serve cioè anche a distinguere le parole. Si prenda ad esempio la triade cà pitano, capità no, capitanò: la prima parola con accento sulla quartultima sillaba è la III persona plurale del presente indicativo del verbo capitare; la seconda parola con l’accento sulla penultima sillaba è un nome; la terza parola è la III persona singolare del passato remoto del verbo capitanare.
Per quanto riguarda la scrittura normale, nella lingua italiana l’accento grafico — distinto in acuto ( / ) solo per le e e le o chiuse, e grave per tutti gli altri casi — si segna obbligatoriamente solo sulle parole tronche (oltre che su alcuni monosillabi tonici, di cui diciamo qui appresso). È utile segnarlo anche in alcune parole sdrucciole che possono confondersi con altre piane: séguito rispetto a seguìto; còmpito / compìto; à ncora / ancóra. In ogni caso, incontrando queste parole, bisogna osservare bene il contesto per individuare l’accento.
Nei plurali dei nomi uscenti al singolare in /-jo/ talvolta viene segnato l’accento circonflesso (ˆ): es. esercizio → esercizî.
Le parole monosillabiche possono essere di due tipi:
- alcune hanno il proprio accento fonico, e quindi sono monosillabi tonici; molti di essi richiedono anche l’accento grafico (è, sì, né, ecc.);
- altre non hanno un proprio accento fonico, e quindi sono monosillabi atoni. Questi, nella pronuncia, si appoggiano o alla parola che precede, e si definiscono enclìtiche se si legano alla parola piena precedente (ad esempio le particelle pronominali mi, gli, me + lo, in sentimi, scrivigli, compramelo, ecc.), o alla parola piena che segue, e si definiscono proclìtiche (non voglio, lo vedo; glielo dico, te lo dico, il vento).
Tra i monosillabi tonici prendono l’accento grafico solo quelli che nella scrittura possono confondersi con altri monosillabi atoni dello stesso suono. Ecco degli esempi (qui la lista completa):
è (verbo essere) / e (congiunzione); dà (verbo dare) / da (preposizione); là (avverbio) / la (articolo o pronome).
Diversi dai monosillabi accentati (che abbiamo passato in rassegna ora) sono quelli apostrofati (po’, da’, ecc.) dei quali trattiamo nel paragrafo seguente, a proposito del troncamento.