La lingua di Goldoni: ragioni e caratteristiche

    Letteratura e teatro

    Gianfranco Folena, Docente di Lingua italiana ed esperto lessicografo, ha scritto importanti saggi sul linguaggio usato da Goldoni. In uno di questi – L'esperienza linguistica di Carlo Goldoni[1] (di cui proponiamo alcuni passi) – Folena definisce le caratteristiche del dialetto usato dal commediografo veneziano e le ragioni delle sue scelte linguistiche.

     

    Secondo Folena, Goldoni utilizza un certo tipo di linguaggio perché desidera comunicare con un pubblico molto vasto, che possa comprendere facilmente le battute e quindi immedesimarsi nei personaggi. Il pubblico, infatti, è il termine dei riferimento costante in Goldoni che fa precedere ogni sua commedia da una Prefazione in cui si rivolge direttamente a chi legge , instaurando un dialogo diretto e vivace.

     

    Il fondamentale problema linguistico è per Goldoni un problema di comunicazione che per lui, come per chi muova per vocazione dall'interno dell'esperienza teatrale, non è solo un problema pratico ma espressivo: comunicazione diretta e orale con quel suo pubblico che per Goldoni è un termine fisso di riferimento, il protagonista di tutte le sue Prefazioni; che comprende diversi strati sociali, ma che egli non può chiamare ancora genericamente «italiano» e che distingue con empiria settecentesca per «nazioni» e gusti, secondo la geografia «sociale» del suo tempo, con una densità e intensità che decresce da nord a sud e che ha il suo centro focale a Venezia.

     

    Questa lingua comune, adatta al suo pubblico, Goldoni non può mutuarla dalla tradizione letteraria e neppure dalla conversazione colta. Perciò, da osservatore attento del Mondo, cerca nella realtà in cui vive lo strumento comunicativo di cui ha bisogno e lo trova nel dialetto veneziano, una lingua non codificata, flessibile, diffusa sia fra il popolo sia nella classe dirigente.


    Parallelamente, la sua «patria» veneziana sembra fornirgli, già pronto per l'uso, quello strumento di lingua parlata di cui egli ha bisogno, lingua parlata socialmente unitaria senza stratificazione rigida, lingua usuale anche della classe dirigente e lingua scritta non «grammaticale»: il solo dei dialetti italiani totalmente immune, nell'uso parlato anche colto, da squalifica culturale, «dialetto» nel senso corrente solo per la prospettiva letteraria; capace di servire non soltanto nell'uso amministrativo e giuridico, ma anche per discutere oralmente di filosofia e di scienza.

     

    Qui Goldoni si colloca d'istinto nel punto d'incontro di una secolare tradizione dialettale veneziana con la comune tradizione italiana ed europea: di quella tradizione, rimasta sempre al bivio tra lingua e dialetto, Goldoni è l'erede per molti versi conclusivo. Il fatto è che in lui il veneziano diventa lingua nel grado totale della rappresentazione, proprio quando la sua bivalenza di lingua dialetto sta per cessare di essere: dopo di lui è possibile una letteratura dialettale veneziana solo in senso vernacolare e municipale (e l'Ottocento sentirà spesso Goldoni dialettale in questa chiave minore di naturalismo vernacolare, e fioriranno un po' dovunque, anche nella Firenze delle ciane dello Zannoni le imitazioni dialettali di Goldoni).

     

    Goldoni scrivendo le sue commedie in veneziano, dà a questo dialetto piena dignità letteraria, gli attribuisce il valore di lingua, di strumento comunicativo ed espressivo che va oltre l’uso caricaturale o l’invettiva.

     

    Goldoni chiude una pagina, e ne apre una nuova, nella storia delle letterature dialettali e della concezione del dialetto come strumento espressivo: in lui il dialetto acquista per la prima volta piena autonomia di lingua parlata, fuori di caricatura e di polemica. Con Goldoni ha inizio la storia urbana e civile del dialetto (saranno poi, tanto diversamente intonate, ma sempre su un doppio registro antiletterario, insieme locale ed europeo, «i paroll d'ori lenguagg» del Porta). Questo suo sentimento del dialetto come «linguaggio», lingua materna in cui si specchia la vita di tutta una società, sarà espresso tante volte dal Goldoni, ma forse mai meglio che nella nostalgia dei versi veneziani scritti da Parigi «lontan tresento mia»: «El dolce nome de la Patria mia... / ... el linguazo, e i costumi de la zente». Dove c'è tutto il sentimento linguistico di Goldoni, molto meglio che nelle sue professioni di orgoglio veneziano che sanno invece di municipale, come nei brutti versi arcadici dichiaranti «la dolcissima / Facondia veneziana / Con elvigor dei termini / Far fronte alla toscana».La parola «linguaggio», coi suoi sinonimi, indica sempre in GoIdoni la parlata, il discorrere naturale e vivo, la lingua come spontaneità: una realtà topografica, psicologica e sociale prima che storica, o storico solo in quanto patrimonio vivente, ma sempre fuori della tradizione letteraria.

     

    Ma quali sono le caratteristiche della lingua usata da Goldoni? Folena nota che è una lingua dove le proposizioni sono legate da rapporti di coordinazione, cioè messe una vicino all’altra, senza congiunzioni, secondo uno schema che pone ogni elemento sullo stesso piano, senza gerarchie interne (carattere paratattico giustappositivo e asindetico, allineante e disarticolato, mancanza di profondità prospettica), una lingua che raramente e in maniera molto semplice, usa la subordinazione (elementare struttura ipotattica, povertà di nessi subordinativi), fondata su proposizioni costituite da soggetto e predicato (sviluppi dello stile nominale), il particolare rilievo dato ad alcuni elementi del discorso (mise en relief isolante). Insomma una lingua che conserva le caratteristiche del dialogo - caratterizzato da elementi esclamativi (interiettivi) o che indicano le coordinate spazio-temporali (deittici), una lingua che privilegia gli aspetti del parlato, del parlar familiare veneziano (ciacolar), della conversazione, della comunicazione. Non a caso la trama di molte commedie, come le Baruffe chiozzotte, si fonda essenzialmente sul dialogo fra i personaggi che esistono e agiscono soprattutto in quanto parlano.

     

    Questo dialetto reale Goldoni lo padroneggia in tutte le sue dimensioni, non solo nella superficie sonora e lessicale, ma nell’architettura sintattica, che, nell’aderenza piena allo spirito del dialetto, reca pure la sua impronta così personale […]. Della sintassi veneziana di Goldoni […] vorrei qui sinteticamente lumeggiare l’aspetto strutturale che mi sembra più rilevante, di struttura grammaticale che mi pare si rifletta su tutta la fisionomia linguistica e stilistica dello scrittore: anzitutto il carattere paratattico giustappositivo e asindetico, allineante e disarticolato, la mancanza di profondità prospettica (che con impressionistica approssimazione viene di solito indicata col termine di mollezza veneziana); la elementare struttura ipotattica e la povertà di nessi subordinativi […]; gli sviluppi dello stile nominale e della mise en relief isolante, che si possono paragonare a quelli del francese […]. Accanto a questo aspetto intuitivo della sintassi del veneziano, va rilevato il carattere eminentemente dialogante che si manifesta nella ricchezza di modi interiettivi e deittici, asemantici, caratteristica del ciacolar: (varda ben ve’, vardé, varéecc) e così nella sintassi del pronome.



    [1] In: Lettere italiane, X , 1958

     

     

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