Adelchi, Atto V, scena III. Il principe Adelchi, fratello di Ermengarda e figlio di Desiderio, re dei Longobardi, è ferito gravemente. Prima di morire perdona Carlo, il re dei Franchi che l’ha sconfitto, e invita il padre a rallegrarsi di non avere più alcun potere politico perché in questa sua epoca (e forse in tutte le epoche) non c'è posto per le azioni nobili e gli uomini onesti hanno di fronte una tragica scelta: o commettono torti o sono costretti a subirli; quella che nel mondo viene chiamata giustizia (diritto) è in realtà una feroce forza che governa la terra, ormai capace di generare solo violenza (altra messe non dà ).
La fede in Dio è l'unica consolazione, l'unico rifugio per chi crede nella verità e nella giustizia. É questo il gran segreto della vita, che al giovane re appare chiara in punto di morte (ora estrema) e che consegna a tutti (a Carlo, a Desiderio, ma anche al pubblico e ai lettori) come un autentico testamento spirituale:
Cessa i lamenti
Cessa, o padre, per Dio! Non era questo
Il tempo di morir? Ma tu, che preso
Vivrai, vissuto nella reggia, ascolta.
Gran segreto è la vita, e nel comprende
Che l'ora estrema. Ti fu tolto un regno:
Deh! nol pianger; mel credi.(vv18 - 23)
[...] Godi che re non sei, godi che chiusa
All'oprar t'è ogni via: loco a gentile
Ad innocente opra non v'è: non resta
Che far torto, o patirlo. Una feroce
Forza il mondo possiede, e fa nomarsi
Dritto; la man degli avi insanguinata
Seminò l'ingiustizia; i padri l'hanno
Coltivata col sangue, e omai la terra
Altra messe non dà . (vv30 - 37)