"I Promessi Sposi": Renzo e Lucia

Letteratura e teatro

I promessi sposi fanno la loro comparsa nel capitolo II del romanzo.

Il primo è Renzo, descritto mentre si reca festoso da Don Abbondio per fissare la data delle nozze. È un giovane uomo pieno di vigore, un operaio abile che, col suo onesto lavoro è riuscito a comprarsi un poderetto e a metter da parte i soldi necessari per sposare Lucia, di cui è innamorato: ha perduto i genitori quando era ragazzo e suo desiderio è costruirsi una nuova famiglia. Renzo è allegro e vivace, spavaldo e ingenuo, come il vestito dall'eleganza un po' grossolana che sfoggia in quel giorno per lui così importante:

 

Lorenzo o, come dicevan tutti, Renzo non si fece molto aspettare. Appena gli parve ora di poter, senza indiscrezione, presentarsi al curato, v’andò, con la lieta furia d’un uomo di vent’anni, che deve in quel giorno sposare quella che ama. Era, fin dall’adolescenza, rimasto privo de’ parenti, ed esercitava la professione di filatore di seta, ereditaria, per dir così, nella sua famiglia; professione, negli anni indietro, assai lucrosa; allora già in decadenza, ma non però a segno che un abile operaio non potesse cavarne di che vivere onestamente. Oltre di questo, possedeva Renzo un poderetto che faceva lavorare e lavorava egli stesso, quando il filatoio stava fermo; di modo che, per la sua condizione, poteva dirsi agiato. E quantunque quell’annata fosse ancor più scarsa delle antecedenti, e già si cominciasse a provare una vera carestia, pure il nostro giovine, che, da quando aveva messi gli occhi addosso a Lucia, era divenuto massaio, si trovava provvisto bastantemente, e non aveva a contrastar con la fame. Comparve davanti a don Abbondio, in gran gala, con penne di vario colore al cappello, col suo pugnale del manico bello, nel taschino de’ calzoni, con una cert’aria di festa e nello stesso tempo di braverìa, comune allora anche agli uomini più quieti.

 

Anche Renzo, come altri personaggi del romanzo, ha un carattere contrastante: è retto ed equilibrato (quieto), ma a volte s'infiamma e ha scatti di ribellione (dice di lui Don Abbondio: un agnello se nessun lo tocca, ma se uno vuol contraddirgli…), è vivace e dotato di una buona dose di furbizia a cui fa riscontro un' ingenuità disarmante. Come in Lucia, però, questi contrasti non degenerano mai, e l'atteggiamento spavaldo, tipico dei bravi (braveria) rimane legato a un momento di grande entusiasmo ed è destinato a scomparire al termine del romanzo quando, sposo e padre felice, all'esuberanza giovanile sostituirà la pacatezza dell'età più matura:

 

Il bello era a sentirlo raccontare le sue avventure: e finiva sempre col dire le gran cose che ci aveva imparate, per governarsi meglio in avvenire.  Ho imparato,  diceva,  a non mettermi ne’ tumulti: ho imparato a non predicare in piazza: ho imparato a guardare con chi parlo: ho imparato a non alzar troppo il gomito: ho imparato a non tenere in mano il martello delle porte, quando c’è lì d’intorno gente che ha la testa calda: ho imparato a non attaccarmi un campanello al piede, prima d’aver pensato quel che possa nascere. E cent’altre cose.

 

Don Abbondio però, accampando scuse, rimanda il matrimonio e Renzo, dopo un po' di tira e molla, riesce a sapere da Perpetua, la domestica del curato, il vero motivo del rinvio: Don Rodrigo, invaghito di Lucia, ha minacciato Don Abbondio costringendolo a non celebrare le nozze. Mentre Renzo cammina a passi infuriati verso la casa della sua promessa per avvertirla di quanto sta accadendo, Manzoni ci presenta Lucia, serena, vestita da sposa e ignara di ciò che sta per abbattersi su di lei.

 

Anche Lucia, come Gertrude, la monaca di Monza, è descritta attraverso un contrasto cromatico fra bianco e nero: nere sopracciglia, neri capelli, fronte bianca. In Lucia, però, non ci sono tormenti o verità inconfessabili: se si nasconde il viso è solo per troppo pudore e a questo gesto un po' ruvido, dovuto anche alle sue umili origini (modestia un po' guerriera delle contadine), fa da contrappunto un sorriso aperto e privo di schermi. In lei tutto è sereno e pacato, anche la gioia è temperata, resa tranquilla da una sensazione particolare in cui alla felicità per la nuova vita di sposa si unisce il turbamento per dover abbandonare la casa materna. Ma il turbamento di Lucia è leggero e Manzoni utilizza un ossimoro (placido accoramento, cioè serena afflizione) per sottolineare come ogni contrasto si appiana in lei, valorizzando la sua modesta bellezza senza scomporla o alterarla:

 

Lucia usciva in quel momento tutta attillata dalle mani della madre. Le amiche si rubavano la sposa, e le facevan forza perché si lasciasse vedere; e lei s’andava schermendo, con quella modestia un po’ guerriera delle contadine, facendosi scudo alla faccia col gomito, chinandola sul busto, e aggrottando i lunghi e neri sopraccigli, mentre però la bocca s’apriva al sorriso. I neri e giovanili capelli, spartiti sopra la fronte, con una bianca e sottile dirizzatura, si ravvolgevan, dietro il capo, in cerchi moltiplici di trecce, trapassate da lunghi spilli d’argento, che si dividevano all’intorno, quasi a guisa de’ raggi d’un’aureola, come ancora usano le contadine nel Milanese. Intorno al collo aveva un vezzo di granati alternati con bottoni d’oro a filigrana: portava un bel busto di broccato a fiori, con le maniche separate e allacciate da bei nastri: una corta gonnella di filaticcio di seta, a pieghe fitte e minute, due calze vermiglie, due pianelle, di seta anch’esse, a ricami. Oltre a questo, ch’era l’ornamento particolare del giorno delle nozze, Lucia aveva quello quotidiano d’una modesta bellezza, rilevata allora e accresciuta dalle varie affezioni che le si dipingevan sul viso: una gioia temperata da un turbamento leggiero, quel placido accoramento che si mostra di quand’in quando sul volto delle spose, e, senza scompor la bellezza, le dà un carattere particolare.

 

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