Il primo libro delle Laudi porta il nome di Maia, la maggiore fra le stelle Pleiadi, e il sottotitolo di Laus Vitae, cioè lode alla vita. Il libro è strutturato in XXI canti di lunghezza diversa, in tutto ottomilaquattrocento versi raggruppati in strofe di ventuno versi ciascuna, che D’Annunzio denomina strofa lunga. Il ricorrere del numero 21 è una scelta del poeta dovuta al fatto che questo numero si ottiene moltiplicando per tre volte il numero 7, e il tre e il sette, nella tradizione religiosa e filosofica, sono considerati fondamentali per interpretare e leggere l’Universo.
La strofa lunga, però, rimane fissa solo nel numero dei versi, per il resto cambia continuamente nella forma ritmica, cioè per il numero delle sillabe che costituiscono i versi, per gli accenti, per la presenza di cesure, per l’accostamento delle vocali finalizzato a generare figure metriche diverse (elisioni, dieresi, iati, sinalefi, dialefi). Il metro – elemento rigido della poesia tradizionale – si scioglie nei suoni e nelle pause che caratterizzano ogni strofa, creando quello che D’Annunzio stesso chiama ritmo mentale:
Questo ritmo mentale – scrive il poeta nel Libro segreto – m’insegna a leggere e a collocare le parole non secondo la prosodia e la metrica tradizionali ma secondo la mia libera invenzione
D’Annunzio crea un sistema assolutamente nuovo, un modello di struttura “aperto”, dinamico e polimorfico, composto da misure regolate per “numeri interni” e da ritmi fluidi selezionati in partenza e associati tra loro di volta in volta. Il poeta stesso, nel 1906, esalterà la libera creazione ritmica del cantore contrapposta alla dura costrizione del rimatore tradizionale.
Sempre nel Libro segreto, D’Annunzio afferma che ogni strofa della Laus Vitae è filigranata di prosodia greca, cioè di ritmi alla maniera dei greci. Questo significa che il poeta ha applicato alla sua arte – in modi appropriati alla nostra lingua – il criterio dell’equivalenza ritmica proprio della poesia greca. In base a tale criterio, nel dimetro (detto anche periodo di dodici tempi), le sillabe brevi e le sillabe lunghe si disponevano in numero variabile formando schemi differenti (anisocronismo). L’uniformità del ritmo, però, veniva ugualmente assicurata dalla presenza stabile di quattro sillabe lunghe, anche se collocate in posizioni diverse e diversamente alternate con le sillabe brevi.
D’Annunzio fa corrispondere all’anisocronismo degli antichi greci la prassi dell’anisosillabismo presente nella nostra poesia delle origini: un componimento in endecasillabi può ospitare versi ampliati (di dodici sillabe) o decurtati (di dieci sillabe) perché vengono sentiti come equivalenti all’endecasillabo di base. Perciò nella strofa lunga i versi vicini possono presentare uno scarto di una, due, tre e perfino quattro sillabe.
Nella Laus Vitae è presente soprattutto il novenario, un verso composto da nove sillabe. Moltissime strofe si aprono su questo ritmo per poi variare con equivalenti misure, decrescenti e ricrescenti, come nell’Incontro di Ulisse, dove aprono e predominano i novenari, alternati con ottonari e settenari. Gli altri versi usati nella Laus vanno dal quinario al decasillabo: il quinario però ha sempre forma decurtata e in sostanza satellite del senario o del settenario; anche il decasillabo (usato raramente) non ha misura piena ma è la forma ampliata del novenario. Nessun poeta come D’Annunzio – che pure sotto questo aspetto deve molto al Pascoli delle Myricae – ha saputo trarre dal novenario tanta varietà di figure ritmiche, riabilitando così il verso dalla vecchia accusa di monotonia, e dal disprezzo in cui lo tennero i poeti per secoli, a cominciare da Dante.
Nelle strofe, infine, sono presenti, sia alla fine sia all’interno del verso, rime, assonanze, iterazioni, anche con intenzionali figure di parallelismi e simmetrie speculari.
[Tratto con adattamenti da: A. Pinchera, Gabriele D’Annunzio, dal metro al ritmo, in Gabriele D’Annunzio. Un seminario di studio, Marietti, Genova, 1991]